domenica 12 febbraio 2006

La borsa petrolifera iraniana e il crollo dell'Impero americano

La Borsa petrolifera iraniana accelererà il crollo dell’impero americano
di Krassimir Petrov, Ph.D*. [03/02/2006]
Fonte:Comedonchisciotte

I. Economia degli imperi


Ogni stato nazionale impone le tasse ai propri cittadini, mentre ogni impero le impone agli altri stati nazionali. La storia degli imperi del passato, da quello greco e romano, a quello ottomano e britannico, ci insegna che il fondamento economico degli imperi è rappresentato dal sistema di tassazione imposto alle altre nazioni. Un impero può pretendere la riscossione delle tasse in virtù della sua maggiore solidità economica e quindi della sua superiore forza militare. Una parte delle tasse dei sudditi servono a migliorare le condizioni di vita dell’impero; l’altra parte va a rafforzare il dominio militare necessario per assicurarsi la riscossione delle tasse.
Nel corso della storia, le tasse imposte alle nazioni sottomesse potevano prendere forme diverse - di solito si trattava di oro e di argento, laddove questi metalli erano considerati monete di scambio, ma anche di schiavi, di soldati, di raccolti, di bestiame, o di altre risorse agricole o naturali,in base alle esigenze economiche dell’impero e alle possibilità degli Stati sudditi. Storicamente, la tassazione imperiale è sempre stata di tipo diretto: lo Stato suddito consegnava i beni economici direttamente all’impero.


Nel 20° secolo, per la prima volta nella storia, l’America è riuscita a tassare il mondo in modo indiretto, attraverso l’inflazione. A differenza di tutti gli imperi precedenti, non ha imposto il pagamento delle tasse in modo diretto, ma ha distribuito la propria valuta fiat [cartamoneta statale non convertibile], il dollaro statunitense, alle altre nazioni, in cambio di merci, con l’intento di provocare l’inflazione e la svalutazione di quei dollari e di far corrispondere poi ad ogni dollaro un numero inferiore di beni economici - la differenza così ottenuta equivale alla tassa imperiale degli Stati Uniti. Ecco come è avvenuto tutto ciò.


All’inizio del 20° secolo, l’economia statunitense iniziò a dominare l’economia mondiale. Il dollaro statunitense era legato all’oro, affinché il prezzo del dollaro non aumentasse né diminuisse, ma rimanesse corrispondente alla stessa quantità di oro. La Grande Depressione, con la precedente inflazione verificatasi dal 1921 al 1929 ed il successivo deficit del governo che aveva speculato al rialzo, aveva sostanzialmente aumentato la quantità di valuta in circolazione, rendendo così impossibile la convertibilità dei dollari statunitensi in oro. Tutto ciò indusse nel 1932 Roosevelt a sganciare il dollaro dall’oro. Fino ad allora gli Stati Uniti avevano dominato l’economia mondiale, ma come forza economica e non ancora come forza imperialista. Il valore fisso del dollaro non avevo permesso agli Americani di trarre vantaggi economici dagli altri Paesi che venivano riforniti di dollari convertibili in oro.




Dal punto di vista economico, l’impero americano è nato con Bretton Woods nel 1945. Non era possibile convertire completamente il dollaro americano in oro, ma lo si poteva convertire in oro soltanto per i governi stranieri. In tal modo il dollaro venne riconosciuto come valuta di riserva del mondo. Questo fu possibile perché durante la Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti avevano fornito i loro alleati di provviste, richiedendo l’oro come mezzo di pagamento, accumulando così significative percentuali dell’oro mondiale. Un impero non sarebbe stato possibile se, dopo l’accordo di Bretton Woods, le riserve di dollari fossero stati limitate e proporzionate alla disponibilità di oro, in modo da poter convertire tutti i dollari in oro. Ma la politica “burro e cannoni” degli anni Sessanta fu di tipo imperialista: le riserve di dollari vennero incessantemente incrementate per finanziare il Vietnam e il programma Great Society del presidente Lyndon B. Johnson. La maggior parte di quei dollari vennero consegnati agli stranieri in cambio di beni economici, senza la possibilità di poterli poi ripagare per lo stesso valore. L’aumento delle riserve di dollari da parte degli stranieri con il deficit commerciale persistente degli Stati Uniti fu l’equivalente di una tassa – più o meno come la classica tassa dell’inflazione che un Paese impone ai propri cittadini, questa volta una tassa dell’inflazione che gli Stati Uniti imponevano sul resto del mondo.


Negli anni 1970-1971 le nazioni straniere pretesero che i loro dollari venissero convertiti in oro, ma il 15 agosto 1971 il governo degli Stati Uniti venne meno al pagamento. Mentre la versione ufficiale parlava di "sganciare il dollaro dall’oro", in realtà il rifiuto di convertire in oro equivaleva ad una dichiarazione di bancarotta del governo degli Stati Uniti. In pratica gli Stati Uniti si auto-proclamavano un impero. Essi avevano spillato un’enorme quantità di beni economici dal resto del mondo, senza avere alcuna intenzione né la possibilità di restituirli, ed il mondo restava impotente a guardare – il mondo era stato tassato e non poteva farci niente.


Da questo momento in poi, per sostenere l’impero americano e continuare a tassare il resto del mondo, gli Stati Uniti dovevano costringere il mondo a continuare ad accettare i dollari sempre più deprezzati in cambio di beni economici e far sì che il mondo possedesse un numero sempre crescente di questi dollari svalutati. Si doveva però dare al mondo una motivazione economica per far sì che si accumulassero queste riserve di dollari,e la ragione fu il petrolio.


Nel 1971, man mano che diventava sempre più chiaro che il governo degli Stati Uniti non sarebbe stato in grado di convertire i suoi dollari in oro, esso stipulò un accordo inviolabile negli anni 1972-73 con l’Arabia Saudita per appoggiare il potere della Casa di Saud in cambio della promessa che essi avrebbero accettato soltanto dollari statunitensi in cambio del loro petrolio. Anche il resto dell’OPEC seguì l’esempio, accettando soltanto dollari. Dato che il mondo doveva acquistare il petrolio dai Paesi arabi produttori, ecco quindi trovata la ragione per indurre a conservare i dollari come moneta di pagamento per il petrolio. E dato che il mondo aveva bisogno di sempre crescenti quantità di petrolio ad un prezzo sempre più alto, la domanda mondiale di dollari sarebbe potuta soltanto aumentare. Anche se non sarebbe stato più possibile convertire i dollari in oro, adesso essi erano convertibili in petrolio.


La sostanza economica di tale accordo consisteva nel fatto che in tal modo il dollaro aveva come garanzia il petrolio. Fino a quando le cose sarebbero rimaste così, il mondo avrebbe dovuto accumulare un numero sempre crescente di dollari, per poter comprare il petrolio. Fino a quando il dollaro restava l’unica moneta di pagamento consentita per comprare il petrolio, il suo predominio globale sarebbe stato assicurato e l’impero americano avrebbe potuto continuare a tassare il resto del mondo. Se ora, per una qualche ragione, il dollaro perdesse la garanzia del petrolio, l’impero americano cesserebbe di esistere. Così, la sopravvivenza dell’impero ha imposto che il petrolio venga venduto soltanto in cambio di dollari. Inoltre ha preteso che le riserve di petrolio si trovino distribuite presso stati sovrani tra loro diversi non abbastanza potenti né dal punto di vista politico né da quello militare tanto da poter esigere monete diverse per il pagamento del loro petrolio. Se qualcuno richiedesse una diversa forma di pagamento, lo si dovrebbe persuadere a cambiare idea, sia con la pressione politica che con i mezzi militari.


Colui che infatti ha preteso di essere pagato in euro per il suo petrolio è stato proprio Saddam Hussein nel 2000. All’inizio, la sua richiesta era stata considerata ridicola, poi accolta con noncuranza, ma quando è apparso chiaro che Saddam faceva sul serio, si è esercitata la pressione politica per fargli cambiare idea. Quando altri Paesi, come l’Iran, hanno espresso la volontà di farsi pagare con altre valute, in particolare con l’euro e lo yen, il pericolo per il dollaro è allora diventato imminente, e si è passati a considerare un’azione punitiva. La Shock-and-Awe [la strategia militare “colpisci e terrorizza”] di Bush in Iraq non aveva niente a che vedere con gli armamenti nucleari di Saddam, né con la difesa dei diritti umani, né col desiderio di diffondere la democrazia, e neppure con il desiderio di volersi accaparrare i campi di petrolio; si trattava invece di salvaguardare il dollaro, ergo salvaguardare l’impero americano. Si trattava di dare un esempio a chiunque pretendesse il pagamento in valute diverse dal dollaro statunitense, mostrando come un tal gesto sarebbe stato punito.


In molti hanno criticato Bush per avere mosso guerra contro l’Iraq allo scopo di conquistare i campi di petrolio iracheni. Ma questi critici non riescono a spiegare il motivo per cui Bush dovrebbe volere impossessarsi di quei campi – a lui basterebbe semplicemente stampare dollari senza preoccuparsi di niente ed usarli per prendersi tutto il petrolio del mondo che vuole. Deve avere avuto qualche altro motivo per invadere l’Iraq.


La storia insegna che un impero dovrebbe andare in guerra per una delle seguenti ragioni: (1) per auto-difesa o (2) per ricavare dei benefici dalla guerra; altrimenti, come Paul Kennedy illustra nella sua opera magistrale The Rise and Fall of the Great Powers (“Ascesa e declino delle grandi potenze” Garzanti Libri 1999) , un eccessivo sforzo militare prosciugherebbe le sue risorse economiche, accelerandone la caduta.


Dal punto di vista economico, affinché un impero intraprenda e conduca una guerra, sulla bilancia i benefici ottenuti devono avere un peso maggiore rispetto ai costi militari e sociali richiesti. I benefici ricavabili dai campi di petrolio iracheni difficilmente valgono i costi a lungo termine di una guerra pluriennale. Invece, Bush deve essere andato in guerra contro l’Iraq per difendere il suo impero. Infatti, proprio questo è il caso: due mesi dopo che gli Stati Uniti avevano invaso l’Iraq, il programma Oil for Food venne terminato, i conti iracheni in euro vennero cambiati subito di nuovo in dollari ed il petrolio venne venduto ancora una volta soltanto in dollari statunitensi. Il mondo non poteva più comprare il petrolio dall’Iraq in euro. La supremazia globale del dollaro venne ancora una volta ristabilita. Bush scese vittorioso da un caccia dichiarando che la missione era stata compiuta - egli aveva difeso con successo il dollaro statunitense, e quindi l’impero americano.



 



II. La Borsa petrolifera iraniana


Alla fine il governo iraniano ha sviluppato la più potente delle armi “nucleari” in grado di distruggere velocemente il sistema finanziario su cui sta puntellato l’impero americano. Quest’arma è la Borsa petrolifera iraniana, la cui apertura è programmata per il marzo 2006. La Borsa si baserà su un meccanismo del commercio del petrolio in euro che naturalmente implicherà il pagamento del petrolio con l’euro. In termini economici, ciò costituisce una ben più grande minaccia all’egemonia del dollaro rispetto a quella rappresentata da Saddam, perché in tal modo si permetterà a chiunque desideri o comprare o vendere il petrolio in euro di effettuarvi le transazioni, raggirando così del tutto il dollaro statunitense. Se ciò accade, allora è probabile che quasi tutti saranno desiderosi di adottare il sistema petrolio-euro:


Gli Europei non dovranno più comprare e conservare dollari al fine di assicurarsi la moneta di pagamento per il petrolio, perché potrebbero pagarlo con la propria valuta.L’adozione dell’euro per le transazioni del petrolio fornirà alla valuta europea il prestigio di essere una riserva monetaria, il che benificerà gli Europei a discapito degli Americani.


I Cinesi ed i Giapponesi saranno particolarmente desiderosi di adottare il nuovo cambio, perché ciò consentirà loro di diminuire drasticamente le loro enormi riserve di dollari e di diversificarle con gli euro, proteggendosi in tal modo dalla svalutazione del dollaro. Una parte di questi dollari continuerà ad essere da loro conservata; mentre essi potrebbero benissimo decidere di cestinare una seconda parte delle loro riserve di dollari; e poi di utilizzare una terza parte dei loro dollari per i futuri pagamenti senza reintegrare le proprie riserve di dollari, ma accumulando riserve di euro.


I Russi hanno intrinseci interessi economici nell’adozione dell’euro – la maggior parte dei loro affari commerciali avviene con i Paesi europei, con i Paesi esportatori di petrolio, con la Cina e con il Giappone. L’adozione dell’euro privilegerà subito i primi due blocchi di Paesi e col tempo faciliterà il commercio con la Cina ed il Giappone. Inoltre, a quanto pare, i Russi detestano conservare i dollari che si stanno deprezzando, dato che hanno di recente scoperto la loro nuova venerazione per l’oro. I Russi hanno anche risvegliato il loro nazionalismo, e se abbracciare l’euro significherà sferrare un duro colpo agli Americani, lo faranno con piacere, compiacendosi di vedere gli Americani dissanguarsi.


I Paesi Arabi esportatori di petrolio adotteranno con entusiasmo l’euro come mezzo per diversificare i propri investimenti al posto delle montagne crescenti di dollari svalutati. Proprio come i Russi, i loro affari commerciali sono principalmente con i Paesi europei, e quindi preferiranno la valuta europea sia per la sua stabilità sia per evitare il rischio valuta, per non parlare della loro jihad contro il Nemico Infedele.


I Britannici saranno gli unici a trovarsi tra l’incudine e il martello. Essi hanno da sempre una partnership strategica con gli Stati Uniti, ma al tempo stesso subiscono naturalmente l’attrazione da parte dell’Europa. Finora hanno avuto molte ragioni per stare dalla parte dei vincitori. Però, vedendo il proprio partner secolare crollare, resteranno saldi al suo fianco o gli infliggeranno il colpo di grazia? E poi, non si dovrebbe dimenticare il fatto che al momento le due principali borse del petrolio sono il NYMEX di New York e l’International Petroleum Exchange (IPE) [Borsa internazionale del petrolio] di Londra, anche se entrambi sono in realtà in mano agli Americani. Sembra quindi più probabile che i Britannici si troveranno ad sprofondare giù insieme con tutta la barca, perché altrimenti danneggerebbero i loro stessi interessi nella IPE di Londra e sarebbe per loro come spararsi sui piedi. E’ qui il caso di notare che nonostante tutta la retorica riguardo alle ragioni per far sopravvivere la sterlina, è molto più verosimile che il motivo per cui i Britannici non hanno adottato l’euro sia stato il fatto che gli Americani devono avere esercitato molte pressioni su di loro per evitarlo: se ciò fosse avvenuto, l’IPE di Londra sarebbe dovuto passare all’euro, infliggendo così una ferita mortale al dollaro ed al loro partner strategico.


Ad ogni modo, non importa ciò che i Britannici decideranno, nel caso la Borsa petrolifera iraniana dovesse prendere velocità, gli interessi in ballo – cioè quelli degli Europei, dei Cinesi, dei Giapponesi, dei Russi e degli Arabi – porteranno ad adottare con entusiasmo l’euro, segnando così il destino del dollaro. Gli Americani non possono permettere che ciò accada, e, se necessario, useranno tutta una vasta gamma di strategie per fermare od ostacolare l’entrata in funzione della Borsa:


Il sabotaggio della Borsa – sotto forma di un virus che colpisca i computer, di un attacco ai network, alle comunicazioni o ai server, di varie violazioni alle protezioni dei server, o di un attacco del tipo dell’11 settembre ai danni dei servizi principali e di sostegno.


Il colpo di stato – si tratta di gran lunga della migliore strategia a lungo termine a disposizione degli Americani.


La negoziazione dei termini accettabili e delle limitazioni – ecco un’altra eccellente soluzione per gli Americani. Naturalmente, un colpo governativo è chiaramente la strategia preferita, dato che assicurerebbe la mancata entrata in funzione della Borsa, evitando così del tutto ogni possibile minaccia agli interessi americani. Ma, nel caso in cui un tentativo di sabotaggio o di colpo di stato fallisse, allora è chiaro che la negoziazione sarebbe la seconda migliore opzione a disposizione.


Una risoluzione congiunta di guerra dell’ONU – senza dubbio difficile da ottenere se si considerano gli interessi di tutti gli altri Stati membri del Consiglio di Sicurezza. Ovviamente la febbricitante retorica sulle armi nucleari sviluppate dagli Iraniani serve a preparare la strada per questo tipo di azione.


Un attacco nucleare unilaterale – si tratta di una terribile scelta strategica per tutte le ragioni connesse alla successiva strategia, la guerra totale unilaterale. Probabilmente gli Americani si serviranno di Israele per fare il loro sporco gioco nucleare.


La guerra totale unilaterale – è ovviamente la peggiore scelta strategica. Innanzitutto, le risorse militari statunitensi sono già state stremate da due guerre. In secondo luogo, gli Americani continueranno ad alienarsi le altre nazioni potenti. In terzo luogo, i principali Paesi possessori di riserve di dollari potrebbero decidere di fare una rappresaglia in modo silenzioso, cestinando le proprie montagne di dollari, impedendo così agli Stati Uniti di finanziare ulteriormente le proprie ambizioni militari.
Infine, l’Iran ha alleanze strategiche con altre nazioni potenti che potrebbero reagire entrando in guerra; a quel che si dice l’Iran ha stretto un’alleanza con la Cina, l’India e la Russia, nota come lo Shanghai Cooperative Group, chiamata anche semplicemente Shanghai Coop, ed un patto a parte con la Siria.


Qualunque sarà la scelta strategica adottata, da un punto di vista puramente economico, nel caso la Borsa petrolifera iraniana dovesse prendere il via, essa verrà accolta con entusiasmo dalle principali potenze economiche, accelerando la fine del dollaro. Il crollo del dollaro farà aumentare drammaticamente l’inflazione negli Stati Uniti, facendo salire i tassi di interesse a lungo termine statunitensi. A questo punto, la Fed [Federal Reserve: la riserva federale] si troverà come tra Scilla e Cariddi – tra deflazione e iperinflazione – presto costretta a fare una scelta difficile: o prendere la “classica medicina” della deflazione, con cui si alzano i tassi di interesse, portando così ad una grave depressione economica, al collasso del settore immobiliare e ad una implosione dei bond, delle azioni e dei mercati derivati, con un crollo finanziario totale, oppure, come alternativa, seguire la strada di Weimar dell’inflazione, con la quale si stabilizza il reddito delle obbligazioni a lungo termine, si sollevano gli elicotteri e si affoga il sistema finanziario nella liquidità, rilevando numerosi LTCM [Long-term Capital Management hedge funds: fondi gestione dei capitali a lungo termine] e iperinflazionando l’economia.


La teoria austriaca dei cicli economici del denaro e del credito ci insegna che non c’è via di mezzo tra Scilla e Cariddi. Prima o poi, il sistema monetario dovrà propendere per una o per l’altra di queste vie, costringendo la Fed a fare la propria scelta. Non c’è alcun dubbio che il Comandante in capo Ben Bernanke, un noto studioso della Grande Depressione ed un esperto pilota di elicotteri Black Hawk, sceglierà la via dell’inflazione. “Helicopter Ben” [“Elicottero Ben” soprannome di Ben Bernanke], immemore dell’America's Great Depression di Rothbard, ha nondimeno imparato a fondo la lezione della Grande Depressione e del potere annichilente delle deflazioni. Il maestro gli ha insegnato la panacea per ogni problema finanziario – l’inflazione, sempre e comunque, accada quel che accada. Egli ha persino insegnato ai Giapponesi le sue tecniche non convenzionali ma ingegnose per combattere la trappola della liquidità causata dalla deflazione. Come il suo mentore,egli ha sognato di lottare contro un inverno di Kondratieff. Per evitare la deflazione, egli ricorrerà alle rotative tipografiche del Tesoro; richiamerà tutti gli elicotteri dalle 800 basi militari statunitensi d’oltreoceano; e, se necessario, monetizzerà tutto ciò che è possibile. La sua ultima impresa sarà la distruzione iperinflazionistica della valuta americana, dalle cui ceneri risorgerà la nuova valuta di riserva del mondo – quella barbara reliquia chiamata oro.


Krassimir Petrov, Ph.D*.
Fonte:
www.gold-eagle.com
Link: http://www.gold-eagle.com/editorials_05/petrov011606.html
15.01.06


Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di PIXEL


Letture consigliate


William Clark "The Real Reasons for the Upcoming War in Iraq"
William Clark "The Real Reasons Why Iran is the Next Target"


*Krassimir Petrov (Krassimir_Petrov@hotmail.com) ha ottenuto il Ph. D. [Dottorato di ricerca] in Economia presso la Ohio State University ed attualmente insegna Macroeconomia, Finanza Internazionale ed Econometria presso l’American University in Bulgaria. Ha intenzione di proseguire la sua carriera a Dubai o negli Emirati Arabi Uniti.
 


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La vera arma letale di Theran
di Martin Walzer [04/02/2006]
Fonte:Comedonchisciotte

 


La prospettiva di un fungo atomico che si innalza nel deserto di Dash-e-lut, in Iran, può non essere la maggior minaccia iraniana alla stabilità internazionale. Nel prossimo avvenire un esperimento atomico riuscito con armi nucleari da parte dell’Iran può rivelarsi meno stabilizzante di una semplice iniziativa economica sul libero mercato come quella che, si dice, l’Iran sta per lanciare il prossimo marzo.


Teheran vuole aprire una nuova borsa petrolifera, per scambiare i vari prodotti petroliferi e potenzialmente, aprire anche un mercato sui futures. Gli operatori potrebbero vendere e comprare partite di petrolio e gas, come avviene attualmente nell’ International Petroleum Exchange (IPE) di Londra o la NYTMEX di New York.


 


Però vi è una differenza: gli scambi avverranno in euro, e non in dollari, e il prezzo del petrolio non si riferirà al West Texas Intermediate o al Brent Crude (del Mare del Nord) ma, invece, al petrolio prodotto nel golfo persico.


E allora? Sembra una variazione di poco conto, e anzi utile, dal momento che il ventaglio di scelte a disposizione dei vari operatori e consumatori viene ampliato, del resto in linea con quanto raccomandato da Adam Smith, il padre del moderno capitalismo nel 18 secolo.


Non è così. Perché una tale operazione rappresenta per l’economia americana un colpo molto più devastante di quanto lo possa essere la capacità iraniana di produrre una bomba atomica, che oggi, e nel prossimo futuro, è totalmente priva di credibilità fino a quando non si otterranno dimensioni, affidabilità e stabilità tali da poterla puntare contro un qualsiasi prevedibile obiettivo strategico.


La relazione esistente fra petrolio e dollaro è molto intima e importante, e garantisce alla moneta americana, sotto il profilo della profittabilità, in quanto valuta monetaria mondiale di riserva, uno status veramente privilegiato. La prospettiva di una borsa petrolifera alternativa apre la possibilità all’Iran di essere arbitro fra euro e dollaro, senza contare un eventuale risparmio sul costo del petrolio futuro.


A questo punto se il petrolio può essere denominato in più di una valuta allora perché non poterlo denominare anche in altre monete? Perché non denominarlo anche in Yen giapponese, o Yuan cinese, che alla fine dei conti è il secondo importatore di petrolio al mondo?


Insomma, perché non farla finita con il monopolio del potente dollaro?


Una mossa simile non sarebbe ben accolta a Washington, che ha già reagito rapidamente, con la caduta di Baghdad nel 2003, all’impudente mossa di Saddam che si era messo a vendere petrolio in cambio di euro, anzichè di dollari. Il grande vantaggio di essere la moneta mondiale di riserva consiste nel fatto che, se tutto va male, il Tesoro americano può pagare le proprie importazioni di petrolio semplicemente stampando più carta moneta.


Naturalmente esistono dei limiti alla propensione americana di far perdere il valore della propria moneta, come si è visto nel 1973 con il primo grande rialzo dei prezzi da parte dell’OPEC, quando il prezzo per barile si triplicò. Tale mossa viene comunemente attribuita alla decisione politica dell’Arabia Saudita e ad altri produttori arabi di petrolio di punire gli USA per il loro decisivo aiuto a Israele nella guerra dello Yom Kippur. In parte ciò è vero, ma la decisone cruciale dell’OPEC fu il risultato diretto della decisione del presidente Nixon, il 15 agosto, di sganciare il dollaro dall’oro.


Il dollaro perse di valore e i paesi dell’OPEC venivano pagati con moneta svalutata. Così nella riunione di Beirut, il 22 settembre, l’OPEC adottò la risoluzione XXV:140, con la quale si decideva di intraprendere “ogni azione necessaria… per contrastare gli effetti negativi derivanti dalla decisione del 15 agosto in relazione al valore di ogni barile di petrolio prodotto dai vari paesi.”


Si proclamò inoltre per la prima volta, da parte dello Sceicco Zaki Yamani, ministro del petrolio saudita, la possibilità di utilizzare l’ultima arma rimasta: un embargo sul petrolio.


A causa delle dimensioni mostruose dell’attuale deficit commerciale e di bilancio americano, rinforzato dalla decisione di Bush di rendere permanenti i tagli alle tasse, la maggior parte del mondo finanziario odierno è in attesa di una altra, simile, svalutazione del dollaro. La settimana scorsa il professor di Harvard Marty Feldstein, ha scritto sul Financial Times, che sulla base delle svalutazioni 1985-87 Louvre and Plaza, il dollaro dovrebbe essere svalutato del 40% e anche più.


Il mercato semplicemente non sa quando ciò accadrà. Ma se ciò dovesse accadere dopo l’avvio a regime della borsa iraniana, allora chi avrebbe scommesso sullo scambio dollaro-euro, sul mercato dei futures di Teheran, si troverebbe con una bella sommetta in tasca.


Il piano quinquennale di Teheran prevede che la borsa si apra quest’anno. Il Teheran Times del 26 luglio ha riferito che è stata concessa l’autorizzazione finale. Mohammad Javad Asemipour, il tecnocrate ed ex ministro del petrolio che è stato incaricato di avviare la borsa, ha effettuato una serie di discreti viaggi esplorativi a Londra, Francoforte, Mosca e Parigi.


Proprio dopo Natale la Iran Labor News Agency lo ha citato dicendo che: “un tale avvenimento (la borsa) offrirebbe il vantaggio, fra gli altri, di consentire la trasparenza di tutte le transazioni petrolifere.” In quanto sarebbe consentito “ai vari operatori di accedere alle informazioni necessarie per consentire uguali opportunità di commercio per tutti.”


Asemipour è un tipo piuttosto elusivo, che però sembra convinto che l’Iran possa giocare sulla contrapposizione fra europei e americani, fra euro e dollaro. Proprio un anno fa era stato citato sul quasi ufficiale Iran Daily a proposito degli europei che avevano condotto un “magnifico gioco” con gli USA durante gli anni delle sanzioni, quando avevano partecipato in Iran a vari progetti economici, particolarmente nel settore dell’energia.


“In questo gioco gli europei avevano fatto finta di stare dalla parte degli americani, mentre invece erano impegnati in vari affari provocando una specie di concorrenza agli americani. Però, in pratica, essi avevano perseguito quelli che erano i loro interessi.” Non mancano infatti vari funzionari americani che nutrono simili sospetti riguardo a Francia e Germania, anche se tutti, al momento, sembrano concordi nel guardare con preoccupazione alle ambizioni nucleari di Teheran.


Adesso c’è da chiedersi se la borsa di Teheran, se e quando si aprirà, avrà successo, tenuto conto che un’idea simile attuata in Dubai in passato è fallita. Però allora il prezzo del petrolio non aveva raggiunto i 65 dollari al barile, e i soci del Dubai non avevano ancora rinunciato a considerare l’Iran come un potenziale nemico invitandolo, come osservatore, alle proprie riunioni. Cioè prima che il mondo arabo cominciasse a giudicare che, quali che fossero le reali intenzioni di Washington, il vero vincitore della guerra in Irak fosse stato proprio l’Iran.


Il mondo può essere sul punto di cambiare molto più velocemente di quanto possiamo immaginare, con o senza gli esperimenti nucleari dell’Iran. Ci sono altre armi, probabilmente più devastanti, che possono colpire, proprio là dove fa più male, un’America finanziariamente vulnerabile.


 


Martin Walzer
Fonte:www.informationclearinghouse.info
Fonte:
http://www.informationclearinghouse.info/article11653.htm 2
23.01.06


 


Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da VICHI



 


 


 


 


 


 


 


 


 

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