sabato 30 dicembre 2006

COMUNICATO STAMPA




COMUNICATO  STAMPA

del Movimento Nazional Popolare

Telefax n. 35344399

 

 

 

L'esecuzione di Saddam Hussein, voluta da Bush e portata a termine dai suoi burattini al governo in Iraq, mentre fa inorridire il mondo intero, segna ancora una volta l'abisso che separa la civiltà europea dalla barbarie americana e aumenta le distanze tra il vecchio continente e quello che appare ormai a tutti come un autentico impero del male. L'esecuzione di Saddam Hussein, realizzata dopo un processo farsa che ha umiliato ogni norma di diritto, che ha calpestato la giustizia, richiama alla mente un'altra messinscena, quella di Norimberga nel 1946, quando i vincitori vollero liquidare i vinti in maniera analoga a quanto accaduto in Iraq.

Il mondo civile, gli osservatori più attenti, ma anche la gente comune, sanno che Saddam Hussein, disegnato ad arte come il satana di turno,  ha pagato per essere stato a capo di uno tra i principali paesi produttori di petrolio,  per la sua politica di contrasto ai piani egemonici statunitensi in Medio Oriente e per il sostegno dato alla causa palestinese.

Gli uomini liberi sanno bene che il vero grande tiranno nel mondo contemporaneo è il Presidente George W.Bush, petroliere texano, capo di un'amministrazione degna del più tradizionale gangsterismo americano, individuo spietato, capace di coniugare stupidità e cinismo,   responsabile di fronte a tutto il mondo della distruzione totale di un'antico paese dalla civiltà millenaria, l'Iraq.

Il mondo civile non ha dimenticato Falluja, le bombe al fosforo, le centinaia di migliaia di tonnellate di bombe micidiali sganciate dai bombardieri yankee,  gli stermini perpetrati contro la popolazione civile in tutte le città irachene, misfatti che portano la firma della Casa Bianca e che fanno di Bush l'unico vero, autentico delinquente, l'unico davvero meritevole di un processo per crimini di guerra.

 

Di fronte a tanta barbarie, di fronte al pericolo di altri misfatti americani, pensiamo alla campagna contro l'Iran, il MNP auspica che l'Europa esca dal suo torpore e che, oltre i limiti del buio presente, sappia  ritrovare l'antico spirito della sua missione civilizzatrice, stabilendo nuovi legami con quanti nel mondo auspicano un diverso assetto geopolitico che isoli e renda inoffensiva la prepotenza degli USA.

 

Il Movimento Nazional Popolare

Direzione Nazionale

Roma

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

martedì 26 dicembre 2006

I regali di Bush


Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu, all'unanimità, ha deciso in data 23 dicembre 2006 l'avvio di sanzioni nei confronti dell'Iran.

E' il regalo di Natale che le nazioni vincitrici del secondo conflitto mondiale, sotto la guida e l'imposizione degli Usa e l'ispirazione di Israele, hanno deciso di fare al mondo.

Per ora si tratta di sanzioni "misurate" che verranno man mano inasprite se l'Iran non fermerà il suo programma di arricchimento dell'uranio.

E' una strada in discesa che di fatto apre un nuovo fronte nella guerra per il controllo delle risorse petrolifere e dei gas naturali del vicino Oriente e che inasprisce lo scontro con l'Islam e tutto il mondo musulmano, scontro del quale le conseguenze più gravi, economiche e non solo, potrebbero pagarle le nazioni europee, Italia in testa.

Passano gli anni ma i vincitori del secondo conflitto mondiale continuano a spadroneggiare e ad imporre i loro diktat al mondo.

E' vergognoso che l'unica nazione che ha usato l'arma nucleare contro popolazioni civili si permetta tuttora di ergersi a paladina dell'umanità contro i pericoli del nucleare altrui.

Cadono anche le illusioni di chi vedeva nell'Eurasia il contraltare al dominio Usa-Israele.

Stati Uniti, Inghilterra e Russia continuano a spartirsi il mondo ed a controllare senza cedimenti le rispettive zone d'influenza.

Lo scontro è sempre tra il sangue dei popoli e delle nazioni povere contro l'oro e l'usura delle nazioni ricche e imperialiste.

Non ci sono nuove bandiere e nuovi scenari geopolitici da inventare, bisogna solo riprendere le bandiere e la lotta dei popoli oppressi e delle nazioni proletarie sconfitte nel secondo conflitto mondiale.

Dal vicino Oriente, dall'America latina e dall'Africa arrivano segnali importanti che l'Europa Nazione deve raccogliere per tornare ad essere protagonista e scompaginare i disegni e le mire degli imperialisti di sempre.

 

Adriano Rebecchi

Segretario Provinciale del MNP del Verbano-Cusio-Ossola

Editore e Direttore de "La Vedetta" 

     

domenica 17 dicembre 2006

Rutilio Sermonti contesta la Dichiarazione dei diritti dell'uomo


Rutilio Sermonti                       


    LA  DICHIARAZIONE  UNIVERSALE  DEI  DIRITTI DELL'UOMO


 commentata e spiegata al popolo


 


  Quando l'Oligarchia Nefanda dell'Usura (O.N.U.), grazie alla stoltezza e al tradimento di parte del mondo civile, riuscì nell'intento di sopprimere con la brutale violenza gli Stati,  gli uomini e le idee che sbarravano la strada al suo incontrollato potere, essa ebbe cura, come è ben noto, di istaurare nel mondo un sistema di rapporti internazionali che impedisse da allora a qualsiasi popolo di riacquistare la libertà e di essere padrone in casa propria.


  Il complicato e costosissimo sistema prese, come è noto, il nome di Organizzazione delle Nazioni Unite ( anch'esso O.N.U.), e fu la riedizione molto peggiorata di quella Società delle Nazioni del 1917 che era riuscita a partorire la seconda Guerra Mondiale.


  E' ovvio che il pravo intento di fornire ai vincitori del 1945 l'alibi per qualsiasi ulteriore violenza e sopraffazione non poteva essere apertamente dichiarato, e che la grande pagliacciata doveva essere austeramente ammantata da nobili e -neanche a dirlo- immortali principi, ad uso degli sprovveduti (che, in democrazia, sono i soli che contano). Fu così, dagli scribi dei Padroni, redatta e fatta solennamente approvare in assemblea la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (Dudù per gli amici), che doveva rispondere al doppio requisito di poter essere sfoderata contro chiunque desse fastidio ai Padroni stessi , ma di non poter mai essere usata per porre qualsiasi limite al loro assoluto arbitrio. Mica facile !


  Tutto ciò, per chiunque non abbia (direbbe Carducci) "cerchiato il senno di fredda tenebra", è quanto meno abbastanza logico.


  Quel che non è logico e che, dopo oltre mezzo secolo di esperienza ONUca, ci sia ancora gente, persino tra quella che contro le fregnacce liberatorie dovrebbe essere abbondantemente vaccinata, che continua a invocare quella Dichiarazione, anche nota come "Carta dell'ONU", quasi che fosse una cosa seria e meritevole di qualche considerazione. Insomma, che parla e scrive, seria seria, di ricorrere all'ONU, grande Mamma di tutte le Nazioni, perchè, in forza di Dudù,  intervenga a tirare le orecchie di chi l'ha violata. Io penso che costoro, in massima parte, la Carta non l'abbiano mai letta, nei suoi rimbombanti trenta articoli, e tanto meno vi abbia un pò riflettuto: attività -questa- che sarebbe oltremodo istruttiva. Intendo quindi sobbarcarmi alla fatica di commentarli uno per uno, a lume di logica, quegli articoli, onde giungere a concludere quale sia l'"ideale comune a tutti i popoli" proclamato dai Profeti Autorizzati dell'Assemblea Generale dell' O.N.U..


  Al "preambolo" che precede alla Dichiarazione, preferisco far riferimento via via, commentando i singoli articoli.


                                                    -            -           -


  E cominciamo, per oggi, dall'art.1 : " Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza, e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza."


  Non possiamo non nutrire qualche riserva sulla ragione e coscienza degli estensori, sebbene si trattasse probabilmente di esseri umani. Non hanno essi mai visto nascere un bambino ? Oppure non sanno che vuol dirte "libero"? Se per libertà si intende la possibilità di agire secondo la propria volontà, l'aggettivo, riferito a un neonato, è una stupidaggine. Egli infatti non possiede nè volontà nè capacità di agire. E' tutto-dipendente. Ragione, coscienza, volontà propria, e quindi libertà egli le acquista in seguito, ma non tutti in uguale misura e con  uguale rapidità: qualcuno quasi niente. Proclamare quindi una libertà fin dal sacco amniotico è una frase enfatica priva di senso, salvo costituire un alibi per non  realizzarla davvero, la libertà. Se poi si considera che il più insidioso ostacolo alla realizzazione della libertà è il condizionamento mentale di massa, e che l'era inaugurata dalla Dudù è stata di gran lunga quella del maggior incremento, sviluppo e impiego degli strumenti e delle tecniche che permettono un tale condizionamento, ecco che la proclamazione astratta della libertà emana un insopportabile fetore. Che ne dite ? A meno che la frase intenda soltanto sancire il divieto giuridico della schiavitù. divieto che vige da un paio di secoli, senza bisogno di scomodare i Soloni della Dudù. Quanto alla schiavitù illegale,  essa non è mai stata così diffusa e praticata come sotto l'occhio vigile dell'ONU, e le proclamazioni del vetroso consesso non le fanno neanche il solletico.


   E veniamo ai "diritti uguali per tutti". altra barzelletta dell'art.1. Si può dire che un Tizio ha "diritto" ad una cosa, solo se vi è un preciso Caio tenuto a dargliela. Sennò, si può parlare di esigenze, di ragionevoli aspirazioni, non di diritti. Se mi si riconosce solennemente il diritto a una casa, ma non si sa chi sia giuridicamente tenuto a fornirmela, il mio diritto posso fumarmelo nella pipa! E' un concetto chiaro, anche se a molti "politici" sembra ostico.


  Ma non basta: l'estensione, la portata di ogni diritto che sia effettivo, prendiamo quello più generale ai cosiddetti "alimenti",


è necessariamente commisurata anche alle possibilità di chi . pubblico o privato, abbia l'obbligo di somministrarli. I diritti verso i genitori del figlio di un Molang della foce del Gange sono quindi molto diversi da quelli di un rampollo di un  qualsiasi Rockefeller. Esistono famiglie in grave indigenza e famiglie multimiliardarie, e lo stesso avviene per gli Stati. Esistono bambini Eschimesi che non hanno mai visto un filo d'erba, e bambini africani per cui, come dicono i Tuareg, l'acqua è cattiva solo quando non c'è, mentre la famiglia di un un bambino americano Wasp consuma di media 10 ettolitri d'acqua dolce al giorno.


   Quindi, proclamare solennemente l'uguaglianza dei diritti dalla nascita, in un sistema mondiale come l'attuale che permette, anzi accentua, tali abissali divari,  non è soltanto umorismo di cattivo gusto: è -tanto per cambiare- ignobile mistificazione.                                                                     


Seguitiamo a dedicare la meritata attenzione alla solenne Dichiarazione che gli illuminati cacumini di tutte le nazioni della Terra baciate dalla Superliberazione hanno forgiata con mirabile concento a disegnare i tratti della Civiltà Definitiva destinata a porre  termine all'alternarsi degli inadeguati e goffi tentativi che, nei millenni, l'hanno preceduta.


   In merito all'articolo 1, ci resta da considerare l'obbligo per tutti di agire, nei reciproci rapporti, in "spirito di fratellanza".


Commovente, davvero ! Solo che non ci suona nuovo. Non ci risulta che alcuna delle precedenti tradizioni prescrivesse l'odio reciproco, o l'accopparsi a vicenda. Ma, se non si mette bene in chiaro che cosa si intende per fratellanza, si può stiracchiarne il significato come si vuole. Chi non sia nato ieri, sa bene quante orribili carognate si possano fare per fratellanza. Magari massonica, no?


   Veniamo allora all'art.2, che è un pò lunghetto. "1- Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna  per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. 2- Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto giuridico, politico o internazionale del paese o del territorio cui una persona appartiene, sia che tale territorio sia indipendente o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo o soggetto a una qualunque limitazione di sovrànità."


Come si vede, è lunghetto, ma non è che una ripetizione più verbosa del primo. Qualsiasi  legge che stabilisca i requisiti per svolgere un'attività o per ricoprire una funzione, per aver diritto a qualcosa o per l'esenzione da un obbligo,o stabilisca in qualsiasi campo una gerarchia di poteri e di responsabilità,  stabilisce "diseguaglianze" e per fortuna. Altrimenti potrebbe fare il medico chi non distigua una tibia da un polmone,  o il ministro della pubblica istruzione un analfabeta,  o il sorvegliante un cieco, o l'insegnante di francese uno che della Francia ignorasse persino l'esistenza, e così via. E i diffusi "test" attitudinali a che servono? Non forse a discriminare  in base alle diverse attitudini ? Non parliamo poi del ridicolo divieto di "disuguaglianze per ricchezza", sotto l'impero della Oligarchia Nefasta dell'Usura (O.N.U.), che non ammette altra gerarchia che quella, e delle altre bellamente se ne ride !


    Sulle discriminazioni politiche, religiose o razziali, torneremo nel finale commento all'art. 30.


    Ed è la volta dell'art. 3, tanto solenne che uno sarebbe portato a leggerlo sull'attenti, " Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona." Un autentico respiro di sollievo per l'umanità intera, mica no !Da non credere che i nostri Padri non ci abbiano pensato prima, gli sbadati , tanto che prima del  1947, vigeva tra i popoli il libero omicidio,  il libero sequestro di persona e il libero ferimento. Ma no! Leggiamo un qualsiasi codice penale vecchio, e costataremo che le tre cose erano tutte proibitissime. Pare, insomma, che la Dudù abbia scoperto l'acqua calda.


    E' che i veri problemi sono due. Uno è quello delle eccezioni ai tre "diritti umani" su considerati: eccezioni sempre esistite e tuttora esistenti (tipo stato di guerra, carcere, esecuzioni capitali, manette, legittima difesa, ecc.). L'altro è quello della capacità effettiva di impedire i delitti contro la vita, la libertà e la sicurezza altrui, senza di che le solenni dichiarazioni sono ovvie quanto vane. Ed è alla stregua dei detti due problemi che si deve valutare se il regime ONUco, con la sua Dichiarazione, abbia migliorato o peggiorato le cose. Nel commento ai successivi articoli non ci mancherà ampia occasione di farlo, quel confronto.


   Comunque, sul piano naturale, la vita è una condizione che ogni vivente possiede, finchè, per una causa qualunque (ma immancabilmente) non muore. Parlare di diritto alla vita, come concezione generale, è come dire "diritto alle orecchie", e non è di alcuna utilità a chi sia, appunto, in fin di vita. Sul piamo giuridico-morale, che dovrebbe essere quello della Dichiarazione Universale, la proclamazione del diritto alla vita può intendersi in quattro modi "operativi": 1°, quello di diritto alle cure ; 2° quello del divieto di omicidio; 3°, quello del divieto di pena di morte; 4°, quello del divieto di aborto. Però la Dudù al primo e al terzo non allude, tanto che nella super-nazione tutrice del Bene  e sede del palazzone di vetro essi non vigono affatto (per tacer di Norimberga). Del divieto di omicidio s'è già detto, e il diritto di aborto si è, dopo la Dichiarazione, enormemente esteso. 


   L'art.3 è quindi puro bla-bla, il che lo rende ancor più solenne, col metro "moderno".


   Un altro plateale sfondamento di porta aperta è il successivo art. 4: " Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di servitù o di schiavitù; la servitù e la tratta degli schiavi saranno proibiti, sotto qualsiasi forma". Sbagliato è il tempo futuro. Erano già proibiti da un paio di secoli. Nessun ordinamento giuridico degno di tal nome permetteva la schiavitù. Come già notammo per l'art.1, le forme purtroppo diffusissime di schiavitù o semi-schiavitù sono tutte illegali. Occorre quindi combatterle, applicando le leggi vigenti. Riproclamarne l'illiceità è un esercizio onanistico.


   Leggendo l'articolo 5, c'è addirittura, mi si permetta, da stropicciarsi gli occhi, increduli di tanta sfacciataggine. Ne giudichi il lettore: "Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura, o a trattamento o a punizione crudele, o inumana, o degradante." Commentare una Dichiarazione del genere,  dopo l'esprerienza del mezzo secolo decorso dalla medesima sotto l'egida dei suoi Alti Principi, senza ricorrere al turpiloquio, è assai difficile. Meglio farsi calare il tasso di adrenalina e rinviare il commento agli ineffabili due articoli 29 e 30, che contengono la spiegazione di tutto.


E veniamo all'art.6: altro pilastro della Buona Novella arrecata alle genti con l'Organizzazione delle Nazioni Unite."Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo, al riconoscimento della sua personalità giuridica". Mi sembra -mi si perdoni- che non sia che un'inutile ripetizione dell'inutile art. 4. Senza dire che anche i vecchi schiavI, negli ordinamenti ottocenteschi che ancora li prevedevano ( primo tra i quali quello americano ), non avevano quella che i giuristi chiamano "capacità di agire" (come un minorenne o un interdetto), ma una limitata personalità giuridica l'avevano anche loro. Non sarà questa, comunque, la sola occasione di incontrare stucchevoli ripetizioni. D'altronde, senza ripetizioni, come li mettevano insieme trenta articoli, e solenni per giunta ?


  Il successivo art. 7, exempli gratia, che cos'è ? Non solo ripete, con altri terminmi, l'art.2, ma si ripete nel corso dell'articolo stesso. Che differenza c'è tra dire che tutti "sono uguali davanti alla legge" e dire che "hanno diritto a un'uguale tutela da parte della legge ? Che bisogni c'è di aggiungere "senza alcuna discriminazione", se quanto detto vale per tutti ? Il testo è "Tutti sono uguali davanti alla legge . e hanno diritto, senza alcuna discriminazione,  ad una uguale tutela da partte della legge. Tutti hanno diritto a un'eguale tutela contro ogni discriminazione che violi la presente Dichiarazione, come contro qualsiasi incitamento a tale discriminazione."  Eccolo, dicevano i nostri Padri, in cauda venenum , come negli scorpioni ! Non è vero che la Dudù sia tutto un bla-bla: le ultima parole hanno vasta portata. E' la faccenda dell'incitamento. Come abbiamo già osservato, infatti, quasi ogni legge esistente, civile o penale, fa discriminazioni. Le discriminazioni che violano Dudù sono quindi solo alcune, e cioè, presso a poco, quelle elencate nell'art. 2, in quanto ingiuste. Ma quali, sono ingiuste ? L'obbligo di conoscenza della lingua italiana per certi impieghi è una discriminazione di lingua ? Le silouettes maschile e femminile nei gabinetti sono una discriminazione di sesso ? L'obbligo per gli stranieri immigrati di munirsi di permesso di soggiorno è una discriminazione di nazionalità? Le diverse aliquote di tassazione dei redditi sono discriminazione di ricchezza ? Risposta: le discriminazioni ingiuste sono quelle non gradite alle oligarchie dominanti. Chi opinasse diversamente o sostenesse una opinione contraria, anche nel modo più civile,  è- per ciò soltanto- passibile di condanna. E gli articoli 18 e 19, per quelli, non valgono ? Certo che non valgono, e ce ne occuperemo in seguito. Ci limitiamo, per ora, a notare che il diritto alla tutela (civile e penale) contro gli "incitamenti" è assicurato a "tutti", e quindi anche ai singoli appartenenti alle categorie pretesamente vittime dell'incitamento. Insomma, un medico che sostenesse l'opportunità di sottopporre ad accertamenti sanitari i provenienti da un paese infestato da  una grave malattia infettiva, potrebbe ricevere centinaia di richieste di danni ed essere gettato in miseria.


   Altro clamoroso sfondamento di porta aperta è l'art.8. " Ogni individuo ha diritto a un'effettiva possibilità di ricorso a competenti tribunali nazionali contro atti che violino i diritti fondamentali a lui riconosciuti dalla costituzione e dalle leggi.". Ma chi ha mai sostenuto il contrario ? Anzi, già da secoli, una tale facoltà è riconosciuta ad ogni "individuo" anche per i diritti più insignificanti e meno "fondamentali" . Non lo sapevano, i padri di Dudù? Per fortuna si sono scordati di tuonare contro il cannibalismo o contro i sacrifici umani !


   Art.9: "Nessun individuo potrà essere arbitrariamente arrestato, detenuto o esiliato" E' una tautologia, non una norma. Che vuol dire "arbitrariamente"? Vuol dire contro la legge che regola tali ipotesi (meno l'esilio, che non esiste). Ma allora a che serve l'art. 9? A vietare di violare le leggi ? Era già vietato, no?.


  Con l'art. 10 torniamo ad addentrarci nel campo del diritto, naturalmente con una ripetizione. Se l'art. 8 sancisce il diritto di ognuno di ricorrere ai tribunali, è ovvio che i medesimi non getteranno i ricorsi in un cestino. Dovranno esaminarli, sentire ambo le parti, vagliare le prove e decidere. E' compreso nel concetto stesso di tribunale. E' SEMPRE stato così, anche nei tempi felici in cui l'ONU non esisteva. Non c'era alcun bisogno che venisse quest'ultima, dall'alto della sua sapienza, a insegnarci che " Ogni individuo ha diritto, in posizioni di piena uguaglianza, a un'equa e pubblica udienza (magari, fosse una sola! n.d.a.) davanti a un tribunale indipendente e imparziale, al fine della determinazione dei suoi diritti e dei suoi doveri, nonchè della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta." Ridicola poi la precisazione "indipendente e imparziale" Tutti i giudici hanno sempre avuto l'obbligo di essere indipendenti e imparziali. Che, qualche volta, non lo siano stati, è stato per tutti gli ordinamenti un fatto illecito, come continua ad essere dopo la "solenne"proclamazione di Dudù.


  Sul successivo e analogo art.11, saremmo stati portati a scrivere: "Altrettanto dicasi...". Ma il richiamo alla irretroattività della legge, canone fondamentale per ogni diritto positivo rispettabile, proclamato con turpe sfacciataggine proprio da coloro che ne sono stati i più clamorosi violatori, ci costringerà a soffermarvisi un pò più a lungo nella prossima puntata. 


Se l'articolo 11 si limitasse alla buonistica quanto vana affermazione della presunzione d'innocenza fino a condanna definitiva, potremmo cavarcela con un'alzata di spalle. E' una presunzione d'innocenza che non esclude la carcerazione preventiva ed altre limitazioni, compresa la traduzione in udienza con le manette ai polsi, e permette di chiudere un occhio su certe violenze morali e fisiche sugli inquisiti di cui proprio i fautori dei "diritti umani" sono tutt'altro che esenti.


   Ma l'insidia occulta nelle mielate parole salta fuori al n*2, Leggiamolo. " Nessun individuo sarà condannato per un comportamento commissivo od omissivo che, al momento in cui sia stato perpetrato, non costituisce reato secondo il diritto interno O SECONDO IL DIRITTO INTERNAZIONALE. Non potrà del pari essere inflitta alcuna pena superiore a quella applicabile al momento in cui il reato sia stato commesso." Attenzione ! Ma il diritto internazionale non configura reati, nè ne stabilisce la pena ! Un codice penale internazionale non esiste, anche se non manca chi ne minacci la promulgazione. Quale mai atto, lecito secondo il diritto positivo di uno Stato, potrebbe invece essere stato illecito secondo il diritto internazionale ? Forse per quello applicato a Norimberga, inventato dai vincitori per assassinare a loro piacere i capi dei vinti , alla faccia della irretroattività della legge penale ?


   Si affaccia gravemente il sospetto che la Dichiarazione Universale che stiamo analizzando non sia che un sistema per mettere il laccio al collo di chiunque dia fastidio ai Soliti Noti, coperto dalla glassa di proclamazioni rimbombanti e prive di contenuto. Un bell'esempio di queste ultime ce lo da l'art. 12." Nessun individuo potrà essere sottoposto a interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza, nè a lesioni del suo onore e della sua reputazione. Ogni individuo ha diritto di essere tutelato dalla legge contro tali interferenze o lesioni." Non viene però spiegato quali interferenze debbano ritenersi arbitrarie e quali no, e questo basta a togliere alla proclamazione qualsiasi valore. La legittimità di alcune interferenze è ovunque stabilita con leggi (interne). Allora, a che serve l'art.12 ? Nè le cose cambiano per l'art. 13 che segue. " 1- Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. 2- Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese." Oh, bella! Abolita la reclusione e il soggiorno obbligato ! Abolita qualsiasi limitazione all'immigrazione (anche, chessò, negli USA)! Abolito il fermo alla frontiera dei perseguiti da mandato di cattura ! No. non è precisamente così. Si deve intendere che, al solito, sono proibite le limitazioni "arbitrarie", non quelle previste dalla legge. Ma quale limitazione agli spostamenti interni ed esterni è mai stata stabilitra se non con legge ? E allora, anche l'art. 13 a che serve ?


   L'art. 14, invece, serve, perchè, anche li, c'è nascosta la solita trappola. "1- Ogni individuo ha diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni. 2- Questo diritto non potrà essere invocato qualora l'individuo sia realmente ricercato per reati non politici, o per azioni CONTRARIE AI FINI E AI PRINCIPI DELLE NAZIONI UNITE." In altre parole: il diritto d'asilo è riservato agli amici della ditta USA, Israele &C, che non ne hanno alcun bisogno. Non li perseguita nessuno, quelli. Per gli altri perseguitati sia la geenna ! Infatti i "fini e i principi delle Nazioni Unite" sono cosa così nebulosa e opinabile che il "diritto d'asilo" può essere tranquillamente negato a qualsiasi altro perseguitato.


   Quanto detto per l'art. 13 (e vari altri) si può osservare anche per l'art. 15. " Ogni individuo ha diritto a una cittadinanza. Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, nè del diritto di mutare cittadinanza." Riusciamo a capire che qualcuno sia arbitrariamente privato della libertà (sequestro di persona) o magari del portafoglio. Ma come possa arbitrariamente essere privato della cittadinanza ci sfugge. I casi di perdita della cittadinanza (per vero, assai rari) sono previsti dalle leggi dei diversi paesi, e non possono quindi mai essere "arbitrari". Altrettanto le regole per l'acquisto della cittadinanza da parte di straniero o apolide. E, siccome "mutare" cittadinanza vuol dire lasciare la propria per acquistarne un'altra, bisogna fare i conti colle regole per il detto acquisto nel paese di cui si agogna divenire cittadini. O no ? Di quale "ius mutandi" vanno quindi farneticando ?


                                                             


        Finalmente, ecco il primo articolo che, almeno, ha un contenuto innovatore. E' l'art.16. " 1- Uomini e donne, in età adatta. hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione." E' un autentico sopruso, d'accordo. Dichiarare obbligatoria la società multirazziale, per cui ogni paese che seguisse una politica contraria al detto miscuglio sarebbe "contrario ai diritti umani" è una clamorosa violazione dello sbandierato "diritto di autodeterminazione dei popoli". Secondo la Dudù, i popoli non hanno alcun diritto: solo gli individui, fosse pure uno solo. Di trenta articoli che la compongono, 29 cominciano con le parole "ogni individuo" (23) o equivalenti (6). Tutti quei miliardi di "individui" sono rappresentati (dice lui) dall'ONU direttamente. Stati, nazioni, razze, culture, religioni, sono solo noiosi inconvenienti da togliersi dai piedi. Solo che il prefato ONU non è nato da una volontà degli "individui" così definiti, o meglio indefiniti. E' nato dalla volontà di Stati, anzi di alcuni Stati auto-definitisi ultra-civili, che l'hanno imposto agli altri per i loro interessi, assegnandosi una posizione di privilegio definitivo. E' così o no ? La verità è che, se anche quelli delle comunità , delle nazioni e perfino delle tribù sono "diritti umani", il n*1 dell'art. 16 è una violazione dei detti diritti, addirittura indecente !


  I seguenti nn 2 e 3 ( volontà di ambo i coniugi necessaria per il matrimonio, e protezione della famiglia), contenuti in tutti gli ordinamenti esistenti, sono il solito solenne sfondamento di porte aperte, che non merita commento.


  Altro capolavoro del genere è l'art. 17. Udite, udite ! " Ogni individuo ha il diritto di avere una proprietà sua personale o in comune con altri ( ma non mi dica ! n.d.r.. E se è nullatenente a chi si rivolge, all'ONU ?)). Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua proprietà" Ma quale mai diritto interno ha mai nella storia previsto qualcosa del genere ? Un "individuo" può essere privato legittimamente del suo nei casi di confisca o espropriazione per p.u., oppure di procedure esecutive previste dalle leggi. Quindi non "arbitrariamente". Furto, rapina e altri delitti contro il patrimonio sono sempre e dovunque stati proibiti, e non c'era bisogno di Dudù.


  Gli articoli 18 e 19, sulla libertà di pensiero e di espressione, che, per non sbagliare, ripetono lo stesso concetto per chi non avesse capito bene, sono la superbufala di tutta la morale liberatoria e meritano particolare riflessione. Se il lettore ci perdona, preferiamo riservarne il commento in chiusura, insieme all'articolo 30, che è il più importante di tutti e stende la sua ala sull'intero papocchio.


  Passiamo, per ora all'art. 20. " 1-Ogni individuo ha diritto alla libertà di riunione e di associazione pacifica. 2- Nessuno può essere costretto a far parte di un'associazione." Ma insomma ! Non può essere costretto neanche a portare cravatte a pois,  nè a mangiare cicoria,  nè a praticare il pugilato, nè a tenere la lavatrice in salotto, e deve avere anche la libertà di preferire le bionde (o i biondi), di usare l'ombrello, di tagliarsi le unghie o di giocare a scopone, nevvero ? Ma, se si dovessero elencare tutte le cose che il nostro individuo ha diritto di fare e che non può essere costretto a fare, magari "arbitrariamente", non basterebbe che Dudù avesse il volume -Dio ci salvi-  dell'enciclopedia Treccani. Ma non avevano nulla di più utile da fare, i Supersoloni dei Diritti Umani , che incornare mulini a vento ?


                                                                                                                              


L'art. 21 abbisogna di una spiegazione un pò lunghetta.Ci si deve davvero chiedere quali mai studi avessero  compiuto gli sprovveduti che l'hanno redatto, oltre al "prontuario per le Giovani Marmotte".  Quel che comunque è certo è che grandemente avrebbe loro giovato la consulenza legislativa di uno studente liceale di media levatura. Giudicate voi.


   "1- Ogni individuo ha diritto di partecipare al governo del proprio paese, sia direttamente, sia attraverso rappresentanti liberamente scelti." Fermiamoci qui, per ora: il governo è composto dai ministri, e magari dai sottosegretari. Dati i generosi emolumenti di costoro, è quindi da supporsi che gli individui desiderosi di farne parte "direttamente" fossero  milioni. Il noto fenomeno democratico della moltiplicazione dei portafogli dovrebbe assurgere a vette non sopportabili da nessuna finanza, credo. Probabilmente, nell'espressione "governo", la Dudù comprende anche l'attività legislativa (povero Montesquieu !), ma anche in quel caso, la partecipazione diretta di ogni individuo che lo desideri, se è vero che farebbe risparmiare la spesa delle elezioni, però,  implicando la retrubuzione di milioni di parlamentari, sarebbe esageratamente gravosa, senza contare il grave problema edilizio di costruire aule sufficientemente capaci, con relative "bouvettes".


   Lasciamo quindi perdere la partecipazione diretta, attribuendo la frase a momentaneo abuso di alcoolici dei redattori, e accontentiamoci di quella indiretta, attraverso rappresentanti liberamente eletti. E' opportuno a questo punto rinviare il commento al n*2 dell'articolo, e passare al n*3 :" La volontà popolare è il fondamento dell'autorità di governo (eccolo il diritto alla partecipazione indiretta ! n.d.a.). Tale volontà deve essere espressa attraverso periodiche e veritiere elezioni, effettuate a suffragio universale ed eguale,  ed a voto segreto,  o secondo una procedura equivalente di libera votazione." Ma allora, che fine fa il "liberamente scelti" ? E se un popolo fosse contrario alle elezioni "a suffragio universale ed eguale,  o equivalente",  considerando la scadente, parassitaria e corrotta classe dirigente che ne viene fuori ? Insomma, è una libertà con un muro intorno, come quella dei detenuti all'"aria" in cortile.


  Tiriamo un sospiro, e passiamo al n*2.: "Ogni individuo ha diritto di accedere in condizioni di eguaglianza ai pubblici impieghi del proprio paese."  Che cavolo vuol dire ? Che è inutile leggere i bandi di concorso, le condizioni di essi, e neanche il numero di posti disponibili, tanto basta essere un "individuo" per aver diritto, non solo a parteciparvi, ma  ad essere assunto ? Leggendo i successivi artt. 23 e 25, a cui arriveremo, si direbbe ! Ma anche se "in condizioni di eguaglianza"significasse soltanto che nelle pubbliche assunzioni sono vietati i favoritismi personali, ci troveremmo soltanto davanti a un ennesimo solenne sfondamento di porta aperta. I favoritismi sono infatti il pane quotidiano del clientelismo su cui si regge la società democratica, e lo sanno anche i gatti, ma, quanto ad essere proibiti, sono proibitissimi ovunque, persino penalmente!  Proibirli anche...internazionalmente, fa ridere anche i polli tristi, e lascia il tempo che trova.


Art. 22 - "Ogni individuo, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale, nonchè alla realizzazione, attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l'organizzazione e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità." Insomma, un'autentica pacchia !  Abbiamo tutti diritto alla realizzazione di tutti i diritti ! E poi ci sono dei matti che sostengono che, per noi Italiani, non valeva la pena di perdere la guerra e di cadere nelle mani di siffatti generosi benefattori! Sciagurati, davvero ! Peccato soltanto che si siano scordati il diritto alla perfetta salute, così si sarebbe risolto anche il problema sanitario ! Che siano le multinazionali farmaceutiche che si sono opposte ?


  Il punto debole dell'art.22 è purtroppo il solito: non precisa a chi dovrebbe rivolgersi l'individuo a cui, per avventura, la realizzazione di tutti quei bellissimi diritti non fosse concessa appieno, o magari per niente  (caso, ahinoi, tutt'altro che raro). Non lo dice, l'articolo, e questa è una carenza tale da giustificare appieno la precisazione, da parte del diseredato ineducato all'indirizzo degli Alti Legislatori Universali, su dove se li debbano ficcare i loro diritti a go-go.


   E veniamo qll'articolo successivo, di altissima portata particolarmente sociale ed economica. Si compone di 4 comma, che meritano disamina separata:


   Art.23, comma 1. "Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell'impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione". Insomma, la nostra Dudù ha sistemato anche quella faccenda. Da che esiste l'ONU, infatti, non solo la disoccupazione è scomparsa dalle terra, ma ognuno ottiene l'impiego da lui scelto e non un altro. E' un Diritto Umano, mica bubbole ! Resta solo da risolvere una questione: chi dovrebbe pagare tutti quegli stipendi e salari, per lavoro che è un diritto di ogni individuo, prescindendo dal fatto che produca qualcosa di utile. E' un inconveniente assai spiacevole, penso. Si avvertte che è inutile rivolgersi al Palazzo di Vetro. Alla porta, gli addetti sono stati avvertiti che, ove si presentino individui male in arnese e chiedano qual'è l'ufficio Diritto al Lavoro, rispondano che l'addetto è in ferie.


   E veniamo al comma 2."Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per uguale lavoro". Che significa ? Non ha forse il "valore" di un lavoro una forte componente anche soggettiva? Un lavoro formalmente identico, come classificazione, non può avere valore ben diverso se compiuto da persona diligente e capace o da altra inesperta e svogliata ? Una cosa sono i "minimi sindacali" e un'altra le retribuzioni effettive, stabilite nei contratti individuali. Qual'è la esatta portata del termine "uguale lavoro" ? Una secolare legislazione , giurisprudenza e dottrina giuslavoristica dibatte e puntualizza le innumerevoli sfaccettature del problema, e pretendere di risolverlo con una frase generica di un solo rigo, che può voler dire tutto o il contrario di tutto, è soltanto penoso e inutile.


   Il comma 3 sfonda la solita porta aperta. Non c'è ordinamento giuridico nazionale che non  preveda  un salario comunque sufficiente per una esistenza dignitosa. Perfino l'infame e "totalitario" salario corporativo, anche se, per quello, andava considerata anche la qualità e quantità di lavoro svolto. Anche la Costituzione della nostra Repubblica contiene un articolo 36. Il fatto però, come per tutti i problemi socio-economici, è che le proclamazioni giuridiche stanno a zero, se non si creano concretamente le condizioni per cui esse possano attuarsi. Sennò, sparare diritti a tutto spiano si chiama ciarlateneria. Il benessere non è cosa che possa assicurarsi con legge : può assicurarsi soltanto con una sana gestione dell'economia  e con la moderazione delle cosiddette "esigenze". Fateci caso: al tempo dei "totalitarismi" europei non esisteva il "diritto al lavoro", eppure la disoccupazione era pressochè inesistente, mentre, da che il "diritto al lavoro" è stato solennemente proclamato,. è diventata una orribile piaga sociale, in continuo aggravamento Come si spiega ? Non è, per caso, che oggi sia costume "andare per micchi"?                                                             


Il numero 4 dell'art. 23, e l'art. 24 (diritto del solito individuo a fondare un sindacato e ad ederirvi, nonchè (se lavora) al riposo e allo svago, non sono che l'inutile e ampollosa proclamazione di diritti che nessun ordinamento contesta. Con tale sistema, le dichiarazioni potrebbero essere, non 30, ma 300, o magari 30.000.


  Una volta stabilito il criterio generale che ognuno ha diritto di fare tutto ciò che non è vietato dalla legge,mettersi a proclamare analiticamente il diritto di ogni individuo (beninteso: senza discriminazione di razza, di sesso, di religione, di classe, di tasso glicemico ecc. ecc.) a scegliere il colore dei propri calzini,  a farsi le uova sode o fritte, a tifare per una squadra, a comprarsi un paio di pattini, a studiare il Francese o a bersi una birra, è un esercizio da mongoloidi.


   L'art. 25, poi, in massima parte ripetitivo dei tre precedenti, è un autentico monumento alla vacua demagogia. Tanto valeva scrivere: "Ogni individuo (senza discriminazione eccetera) ha diritto di avere tutto ciò che desidera." Così, tutti felici e contenti. Bello, no ? Leggiamolo: " Ogni individuo ha diritto a un tenore di vita sufficiente  a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione, alle cure mediche, ai servizi sociali necessari, e ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia, o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà." Siamo seri:  se l'art. 25 si limitasse a indicare alcune finalità, che ogni Stato dovrebbe cercare di realizzare, con la collaborazione anche delle istituzioni internazionali ( come non avviene affatto da che i Diritti Umani sono stati proclamati) la dichiarazione sarebbe soltanto sciocca e inutile, dato che non fa alcun cenno a COME una siffatta idilliaca condizione potrebbe essere raggiunta, e l'unico problema è quello. Ma asseggnare un diritto soggettivo in tal senso ad ogni "individuo" è aria fritta al 100%. Hanno idea i Soloni Universali di che significhi diritto di una persona ? Vuol dire interesse di quella persona, cui la legge attribuisce la facoltà di perseguirlo, precisando nei confronti di chi, e approntandole i mezzi legittimi per esigere l'adempimento del corrispondente obbligo.


  In mancanza di uno dei detti rtequisiti, chiamare "diritto" una qualsiasi aspirazione umana, per quanto ragionevole,  non avvicina neppure di un millimetro alla sua realizzazione, anzi è una palese presa per i fondelli.


  Uno che sta morendo di fame, con la proclamazione del diritto al cibo non se la leva di certo,  nè il diritto alla casa protegge affatto dalle intemperie uno che dorme sotto un ponte, avvolto nei vecchi giornali. Cibo e case, ci vogliono, non "dichiarazioni".


   Lo stesso sia detto del numero 2 dell'articolo medesimo,  che sancisce il diritto umano alla cura e all'assistenza della maternità e dell'infanzia. Sta di fatto che all'avanguardia mondiale di tali cure ed assistenza ci fu, come è noto, l'Italia fascista, che chiacchiere sui diritti umani non ne faceva,  ma approntava il necessario di strutture, personale e attrezzature


perchè quelle essenziali necessità fossero effettivamente soddisfatte.


   Si trattava di problemi politici, economici, organizzativi e tecnici, che furono affrontati e risolti. Non certo di chiacchiere al vento, come quelle di cui, soltanto, sono capaci gli zuzzurelloni dell'ONU.


    La cavalcata sulle nuvole dei magniloquenti superlegislatori universali (e dico poco !), continua con l'art. 26, che si occupa dell'istruzione. "1- Ogni individuo ha diritto all'istruzione. L'istruzione deve essere gratuita, almeno per quanto riguarda le classi elementari e fondamentali (?- n.d.a.). L'istruzione elementare deve essere obbligatoria. L'istruzione tecnica e professionale deve essere messa alla portata di tutti, e l'istruzione superiore deve essere ugualmente accessibile a tutti, sulla base del merito." E , fin qui, non sarebbe che la solita facile proclamazione di diritti in astratto, che lascia assolutamente il tempo che trova quanto ai problemi di realizzabilità. E se mancano scuole, insegnanti, attrezzature, viabilità  ? E se i bambini sono costretti a lavorare per un tozzo di pane o poco più (come regolarmente avviene dopo l'umanitaria decolonizzazione ) ? E se papà e mammà preferiscono così, a chi si rivolgono gli individuini indegnamente defraudati: all'ONU ? Chi glie li risarcisce i danni: Condoleeza ?


  Comunque, ogni legislazione di paese "civilizzato", in fatto di istruzione, è molto più avanzata che la nostra Dudù, coi suoi apodittici dettami. Per non sbagliare, la tracotanza traspare però anche dalla vaniloquenza. Sarebbe interessante sapere in base a quale principio democratico un popolo che desiderasse conservare la struttura tribale e non progressista, che ha per lui ottimamente funzionato per millenni, sarebbe invece costretto a mettersi scarpe e cravatta e a scaldare sedie come gli evoluti cacciatori di denaro. Ma forse, la chiara risposta si ha leggendo il prosieguo dell'articolo:


   "2- L'istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana e al rafforzamento del rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l'amicizia tra tutte le nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l'opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace." Capita l'antifona ? Per noi, usi a decriptare il gergo liberatorio,


 il discorso è chiaro come il sole. Sappiamo tutto sulle "libertà fondamentali" e sulla "tolleranza" di qualsiasi carognata fatta dalle nazioni privilegiate e intolleranza assoluta per ogni cosa o persona che contrasti gli interessi di quelle, come sui gruppi religiosi e razziali che, secondo lorsignori, hanno diritto alla tollerenza illimitata e per quelli che non ne hanno affatto (detti "integralisti"). Per i gruppi razziali in particolare, siamo ben conti che ci sono quelli (o quello ?) che hanno diritto di restare tali, e quelli che invece hanno il dovere di andare a farsi fondere "multietnicamente", sennò sono"razzisti" e Dio li salvi!


   Quel che gli autori di Dudù dovrebbero spiegarci è come faccia ogni individuo a collaborare con le Nazioni Unite al mantenimento della pace, dato che -da che esistono le Nazioni Unite, di pace non ce n'è più stata. Forse l'articolo vorrebbe dire istaurazione della pace, naturalmente a suon di bombe, di torture e di pagliacciate giudiziarie, al modo democratico.


   Insomma: riscriviamo l'articolo 26 con sincerità: " L'istruzione deve diffondere uniformemente tra tutti i popoli le melense fregnacce con cui USA e soci ammantano le loro prepotenze."


   Rinunziamo a spiegare l'art. 27, a meno che qualcuno non ce ne riveli il significato. In che diavolo consiste il "diritto" di ogni individuo (beninteso: senza discriminazioni ecc., ecc.) a "prender parte alla vita culturale", a "godere delle arti" e a


"partecipare al progresso scientifico" ? Si vuol forse vietare che si dica ad uno che prova piacere nel guardare un bel quadro o nell'ascoltare una buona musica: "No ! Ti deve dare fastidio!"? Oppure a uno che vuol telefonare: "No, tu devi usare i segnali di fumo o il tam-tam !" ? Di questo si preoccupa, Dudù ? Ma forse è alla possibilità economica e di mezzi che si vuole alludere, non alla possibilità giuridica. Forse, i Sapienti Universali ignorano che le possibilità economiche e i mezzi tecnici non si approntano spruzzando in giro diritti umani, bensì con una sana politica economica e sociale, finalizzata appunto alle esigenze umane e non al profitto di quattro alti strozzini, come è invece, appunto, quella tutelata dall'ONU.


Che può fare, allora, l'"individuo" a cui manca la possibilità di godere di tutte le belle cose elencate nell'art. 27 ?


 Ricorre all'ONU contro l'ONU ? Ci provi un pò !


   Giunti alla fine della penultima puntata, potremmo cominciare a tirare un pò le prime somme.


   A volersi esprimere con brutale durezza, quel che è risultato finora è che tutta la DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI (Dudù, per gli amici) non è che una cofana di chiacchiere ampollose e del tutto inutili.


   Ma, in cauda venenum, ci sono ancora da commentare tre articoli, che dichiarano apertamente a chiunque non sia privo di comprendonio che si tratta di molto, molto peggio, e cioè di un infame ed ipocrita strumento di schiavitù dei popoli, che il tono messianico-moraleggiante rende ancor più disgustoso.                                               


 E arriviamo al punto in cui la Supercarta Supercostituzionale, ridondante di diritti privi di senso e di effetto, getta la sua maschera buonista-puritana per rivelare il suo autentico ceffo da galera.


  Già si preannuncia con l'art. 28, che elargisce a ogni singolo "individuo" il "diritto" a un ordinamento conforme ai cosiddetti principi di cui alla Carta. Insomma, i criteri di governo di un paese - ha tuonato l'articolo 21- sono scelti dai prelodati individui col metodo democratico, ma qualora essi non siano conformi alle vaghe proclamazioni che abbiamo viste, non va più bene. E chi lo giudica, se siano o no conformi ? Con quale "democratica" autorità ? Con quale "obbiettività" ?

   Cominciano a prudere le mani, all'indirizzo dei sepolcri imbiancati (direbbe Gesù Cristo) che hanno steso una regola del genere. Ma il prurito diviene impellente, unito a nausea acuta, se si legge l'artt. 29. Sorvoliamo l'incredibile n°1, che ci rivela che ogni "individuo" "ha dei doveri verso la comunità" ( ma non mi dica !), ma si guarda bene dal precisare quali, come fa invece minuziosamente per i diritti di carta, e sul n° 2, che ripete il vetusto principio liberale per cui la libertà del solito insopportabile individuo ha un limite nella libertà degli altri, e veniamo al micidiale numero 3: " Questi diritti e queste libertà non possono in nessun caso essere esercitati in contrasto coi fini e i principi delle Nazioni Unite". E, per chi non avesse capito bene, soccorre il successivo ed ultimo articolo 30, degno sugello dello sfacciato diktat truccato da umanitarismo dozzinale ad uso degli imbecilli: "  Nulla nella presente Dichiarazione può essere interpretato nel senso di implicare un diritto di un qualsiasi Stato, gruppo o persona di esercitare un'attività o di compiere un atto mirante alla distruzione di alcuni dei diritti o delle libertà in essi enunciati."

   Non vi stropicciate gli occhi: avete letto bene. Anche un bambino capirebbe che la strabiliante chiusura del pomposo zibaldone di ovvietà e di scempiaggini su cui regge tutta l'impalcatura del preteso "assetto" internazionale moderno, equivale esattamente a scrivere. " TUTTI  I  SACRI   PRINCIPI  SOPRA  ENUNCIATI  VALGONO  SOLO  SE  FA  COMODO  AI  PLUTOCRATI  DI  WALL-STREET COME  PRETESTO PER  I  LORO  AFFARI,  IN  CASO  CONTRARIO  VALGONO  ZERO."  Per annaffiare il mondo di diritti che valgono solo contro i deboli, e nulla contro i detentori del potere finanziario-nucleare, arrivano persino a legittimare il processo alle intenzioni (che vuol dire mirante alla distruzione  ?), compiuto , evidentemente a senso unico,  celebrato senza appello dai vari Bush, Rice o magari Dal Ponte.

   Diritto a giudizio imparziale (artt. 7 e 10), irretroattività della legge penale (art. 2), divieto di tortura (art.5),  divieto di detenzione abusiva (art.9), autodecisione dei popoli (art. 21), per tacere della strombazzatissima e incensatissima libertà di pensiero e di espressione (artt. 18 e 19), titolo di nobiltà di tutti i liberalismi rispetto agli aborriti "totalitarismi", sono solo  privilegi erogati in misura varia solo ai sudditi obbedienti e pecorili della santa alleanza USA-Israele: da tutti gli altri, da chiunque sia animato o anche solo sospettato di intenzioni indipendenti NON POSSONO NEPPURE ESSERE COMUNQUE INVOCATI.

Altro che "ogni individuo senza discriminazione eccetera eccetera !" Calatevi i calzoni ! Se non avete le stars and stripes tatuate su una natica e la stella di Davide sull'altra, siete discriminati eccome ! Non siete neppure individui: E zitti !

   D'accordo: l'Umanità ha una pistola premuta sotto il mento, e sembra che per qualche tempo debba ancora abbozzare a tali infamie. Ma il disprezzo per i criminali camuffati da arcangeli, non glie lo può vietare nessuna pistola !

   Non manchiamo quindi di proclamarlo in ogni occasione, e soprattutto piantiamola di invocare "diritti umani" ed altre chicche per subnormali, profuse a piene mani dai gangsters che governano il mondo.

 

 

Ancora sulla socializzazione

Caro Franco.

 

 

per comprendere appieno la socializzazione, non si può prescindere dalla Carta del Lavoro del 1927 che, già, ne conteneva le premesse. Come ho scritto in Salò-Berlino, l'alleanza difficile (Mursia 1992), "...basta dare un'occhiata alla dichiarazione VII della Carta del Lavoro, che in maniera molto esplicita sottometteva l'organizzazione privata della produzione all'interesse nazionale e all'autorità dello Stato...". Di qui il filo che collega i due provvedimenti e conferisce anche al fascismo prerepubblicano il suo avanzato carattere sociale. Il Consiglio dei ministri della RSI il 13 febbraio 1943 approvò la Premessa fondamentale per la creazione della nuova struttura dell'economia italiana che cominciava con queste parole: "Vista la Carta del Lavoro...". Da quel giorno tutte le società per azioni con un capitale superiore ad un milione di lire o con più di 100 impiegati, dovevano essere socializzate. La volontà era quella di seguire una direzione di marcia orientata a battere il marxismo a sinistra e a decretare il superamento del capitalismo. Del resto l'articolo 10 dei 18 punti di Verona recita "La proprietà privata, frutto del lavoro e del risparmio individuale, integrazione della personalità umana, è garantita dallo Stato. Essa non deve però diventare disintegratrice della personalità fisica e morale di altri uomini attraverso lo sfruttamento del loro lavoro". Mi pare dunque chiaro che lo Stato sociale e rivoluzionario del fascismo, pur controllando le imprese maggiori e quelle di massimo interesse pubblico, e su questo ovviamente non solo sono d'accordo ma è proprio ciò che credo assolutamente indispensabile soprattutto oggi, si distingue sia dalla logica capitalista dei privati che da quella del marxismo che lo stesso Lenin, ripeto, dovette modificare con la nuova politica economica dei primi anni venti in Russia.

 

Circa poi la gestione e la mediazione dello Stato che secondo te nel fascismo repubblicano non esisterebbe, ti devo ricordare:

 

a) la creazione di un Istituto di Gestione e Finanziamento con il compito di amministrare il capitale delle aziende e di regolamentare l'attività produttiva delle imprese

    stesse

b) Il capo dell'azienda, pur eletto nel consiglio di gestione, era responsabile di fronte allo Stato dell' entità della produzione e della sua qualità, come pure della disciplina

    aziendale

c) gli utili delle imprese non avrebbero dovuto oltrepassare i limiti fissati annualmente dalle autorità e le eccedenze avrebbero dovuto essere ripartite tra i lavoratori e lo

    Stato che, tramite l'Istituto di Gestione e Finanziamento, le avrebbe destinate alla realizzazione di programmi a carattere sociale.

 

Ti ringrazio di aver creato l'occasione per  approfondire questa tematica delicata e importantissima e spero che chi ci legge ne tragga il dovuto beneficio.

 

Un cordiale cameratesco saluto

 

Nicola Cospito

 


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Sent: Thursday, December 14, 2006 1:22 AM

Subject: Re: [fiamma] Re: Hai scriito...







Caro Nicola,

 

 hai scritto: " Il fascismo ha saputo moderare il capitale e controllarlo e se non ha voluto distruggere l'iniziativa privata lo ha fatto a ragion veduta"ecc.ecc... In effetti anche  con il tuo esempio, siamo sempre di fronte ad un "socialismo di Stato" che tende comunque a regolare e correggere certe tendendeze del capitale  le quali, quando non  vengono ben controllate e incanalate in una strategia di più grande respiro da parte dello Stato, possono  facilmente degenerare in fenomeni antisociali o addirittura  autodistruttivi ( vedi l'esempio del treno senza guidatore e senza una  precisa meta, più volte citatato da Massimo Fini ). In ogni caso, il tuo discorso può filare quando ci si limiti alla valutazione del c.d. fascismo-regime, ma non più per quanto riguarda il periodo successivo quello  cioè riferibile alla RSI. Infatti con la socializzazione delle aziende - con la sola esclusione del lavoro artigiano e dei contadini in proprio - passiamo direttamente dallo stadio del socialismo, più o meno di Stato, a quello vero e proprio del "comunismo" ove i mezzi di produzione vengono ad essere gestiti direttamente, senza più la gestione o la mediazione dello Stato, dai produttori o proletari che dir si voglia. L'istituzione della socializzazione supera quindi i limiti dei vari  "socialismi di Stato" più o meno tendenti al comunismo per entrare direttamente nella fase dell'autogestione produttiva dell'economia   da parte  dei vari "produttori" . Può piacere o meno, ma resta il fatto difficilmente contestabile che la socializzazione sia stata, almeno fino ad oggi,

l'esperimento più ardito e avanzato in tutto il campo della.... sinistra ( sia italiana che mondiale).

Camerateschi saluti,

franco morini

 

 


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Sent: Monday, December 11, 2006 9:08 AM

Subject: [fiamma] Re: Hai scriito...





Caro Franco,

 

 

anche Lenin, dopo la rivoluzione russa dovette rinunciare ad un' integrale nazionalizzazione delle imprese e varare la Nuova Politica Economica. Credo che governare consista nella capacità di spingere gli uomini con le loro diverse posizioni nella medesima direzione e questo,  al fascismo che riuniva nel fascio diverse tendenze,  è riuscito al meglio. Del resto la perfezione non è di questo mondo e pur essendo, ad esempio, d'accordo con Platone sullo Stato ideale, so bene che resta un archetipo difficile da realizzare al 100 %. Farsi carico delle esigenze di tutti, moderando le spinte egoistiche è un'opera d'arte e credo che proprio  in questo la nostra visione dello Stato si differenzi dalle altre. Il fascismo ha saputo moderrae il capitale e controllarlo e se non ha voluto distruggere l'iniziativa privata lo ha fatto a ragion veduta. Altrimenti, e lo chiedo anche ai socialisti nazionali, in che cosa ci differenziamo dal marxismo, dal suo materialismo storico, dalla sua economia come destino e come struttura portante della società ? Non dimentichiamo che noi siamo non socialisti, non capitalisti, non societari, ma nazionali, sociali e comunitaristi. Non abbiamo sostenuto sempre che il socialismo è figlio del capitalismo e che i due sono speculari ? E allora ?

 

Ricambio i saluti

 

Nicola Cospito

 

 


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Sent: Sunday, December 10, 2006 11:45 PM

Subject: Re: Hai scriito...



Confermo che il Fascismo nasce dalla sintesi fra il pensiero di Marx e quello di Nietzsche con l'aggiunta di Pareto e un pizzico di Schopenhauer. Questa  sintesi di Sorel è stata poi catalogata, e non da me, come "revisionismo di sinistra" del marxismo . Da questo revisionismo di sinistra è nato, specie in Italia e in Francia, quel sindacalismo-rivoluzionario che ha poi generato il Fascismo. Se Corridoni non fosse caduto in guerra, il movimento rivoluzionario dei reduci lo avrebbe senz'altro guidato Lui e di certo ne sarebbe nato un altro tipo di fascismo; sicuramente con venature meno reazionarie di quello poi passato alla storia. Ciò non toglie che Mussolini abbia sempre cercato di rimanere coerente con le sue origini di estrema sinistra. Basti ricordare, a questo proposito, la sua netta opposizione all'agrarizzazione dello squadrismo, opposizione che lo portò prima a imporre il patto di pacificazione Zaniboni-Acerbo e poi anche a minacciare le sue dimissioni dal movimento fascista.  Se dovessi fare una critica a Mussolini, questa riguarderebbe essenzialmente il suo transito da puro rivoluzionario a statista cavourriano con tutti i relativi - e forse necessari - compromessi. Primo fra tutti l'accordo con la destra nazionalista (e poi venticinqueluglista) anche se mi  rendo conto che tale alleanza gli servì per coprirsi le spalle nella sua azione antimassonica. Purtroppo il Fascismo fu, almeno inizialmente, una rivoluzione mancata, anche perchè placcata al  suo primo accenno d'insurrezione. Di qui tutta la serie di compromessi con la dinastia, il papato, il capitalismo,gli alti gradi dell'esercito notoriamente sodali della massoneria internazionale ecc.  Per assurdo, ma non tanto, si potrebbe affermare che il Fascismo ha potuto essere se stesso e compiere la sua rivoluzione proprio nel momento in cui è stato tradito, dalla dinastia, dal papato,dal capitalismo interno, dallo Stato maggiore dell'esercito ecc. In effetti se non ci fosse stato prima il 25 luglio e poi l'8 settembre il Fascismo sarebbe rimasto una rivoluzione incompiuta e oggi sarebbe già stato archiviato dalla storia. Le luci e le ombre del ventennio non mi toccano più di tanto nella consapevolezza che se avessi vissuto quell'epoca sarei stato molto probabilmente all'opposizione, anche perchè giudico che in quel periodo vi fosse in Italia un conformismo non molto differente, a parte lo scenario storico, dall'attuale.

Saluti camerateschi,

franco morini

 

 


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Sent: Sunday, December 10, 2006 9:50 PM

Subject: Hai scriito...



Hai scritto:

 

 In ogni caso il movimento fascista, insieme a quello nazionalsocialista tedesco deriva in linea diretta dal marxismo e, in particolare, dal revisionismo marxista di sinistra operato da Sorel in contrapposizione al revisionismo di destra, del marxismo stesso, ad opera di Bernstein

 

 

Caro Morini,

 

non credo che quanto anche abbia potuto pensare Mussolini negli ultimi giorni della RSI e della sua vita stessa possa costituire dottrina. Il momento era drammatico e le preoccupazioni tante. Credo che per comprendere bene il Fascismo, dobbiamo fare riferimento  ai documenti ufficiali messi a punto nell'intero arco della sua azione politica. Vale a dire la  Dottrina del Fascismo, la Carta del Lavoro, le leggi fascistissime, tutte le leggi sociali  fino ad arrivare ai 18 punti di Verona. Ti ricordo il motto Tutto nello Stato, Nulla al di fuori dello Stato, Nulla contro lo Stato proprio del Fascismo all'apice della sua popolarità  e che dunque esalta lo Stato, mentre il marxismo lo nega. Vedi il Manifesto di Gotha di K.Marx o leggi Stato e Rivoluzione di Lenin. Nel primo si parla di estinzione dello Stato, mentre nell'altro lo Stato è definito "una forza repressiva particolare" al servizio della borghesia contro il proletariato. Nulla a che fare dunque con il Fascismo. Del resto non dimentichiamo il fascismo come Weltanschauung , cioè come visione spirituale  della vita e del mondo. E del resto vedi tu connessioni tra Fernando Mezzasoma e la mistica fascista da lui propagandata con il marxismo ateo e materialista ??

 

 

Così pure il nazionalsocialsmo tedesco affonda le sue radici nel romanticismo politico di E. M. Arndt, di Friedrich Ludwig Jahn,  di Fichte, nella loro visione del Volk come nazione, alla faccia di ogni internazionalismo apolide, caro agli illuministi prima e ai marxisti poi.

Ti ricordo anche  che la notte dei lunghi coltelli del 30 giugno 1934 intese fare piazza pulita di ogni deviazionismo marxista alla Niekisch e alla Strasser.

 

Un cordiale cameratesco saluto

 

Nicola Cospito

 

 


----- Original Message -----



Sent: Saturday, December 09, 2006 10:21 PM

Subject: Re: [fiamma] Re: Ai Camerati di Socialismo Nazionale





 E' però anche vero che  nell'aprile del 1945, Mussolini avrebbe voluto  passare il potere della RSI direttamente nelle mani del Psi e ciò non avenne solamente per l'opposizione di Pertini e di Riccardo Lombardi i quali se avessero accettato il passaggio di consegne avrebbero inevitabilemnte rotto con il cln e gli "alleati" in generale. Ma l'offerta della RSI era diretta anche agli stessi comunisti i quali secondo Mussolini ne avrebbero dovuto apprezzare gli avanzati istituti sociali per cui, sempre Mussolini, nello scritto consegnato a Silvestri, chiarisce che l'esclusione dei comunisti era dovuta solamente al fatto che questi essendo strettamente legati all'Urss non avrebbero potuto accettare e ciò anche a seguito delle sfere d'influenza stabilite a Jalta. Mussolini comunque si augurava che un giorno, offuscata l'influenza di Mosca, anche i comunisti potessero aprirsi al socialismo nazionale della RSI. In ogni caso il movimento fascista, insieme a quello nazionalsocialista tedesco deriva in linea diretta dal marxismo e, in particolare, dal revisionismo marxista di sinistra operato da Sorel in contrapposizione al revisionismo di destra, del marxismo stesso, ad opera di Bernstein: Da Sorel sono quindi derivati i vari fascismi come da Bernstein i laburismi e la socialdemocrazia in generale. Vi è comunque da aggiungere che Sorel stesso riconduceva sia la rivoluzione leninista in Russia che l'insurrezione fascista in Italia alle sue personali teorie. D'altra parte anche in Germania l'influenza socialista (più che sociale) ha caratterizzato l'azione delle S.A. che, proprio perchè considerate fin troppo rivoluzionarie, vennero sacrificate per giungere ad un accordo con i  più tradizionalisti circoli militari - come del resto accadde in Italia con l'accantonamento del fascismo intransigente (vedi per es. Farinacci).

 

franco morini


 

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Sent: Saturday, December 09, 2006 11:42 AM

Subject: [fiamma] Re: Ai Camerati di Socialismo Nazionale





Al di là delle dottissime disquisizioni ( secondo me un po' bizantine) mi pare che si faccia confusione tra SOCIALISMO  e  SOCIALITA'.

Il primo è un'ideologia ben definita e strutturata, con una sua storia, i suoi sacerdoti, i suoi riti ed i suoi "santi".

La seconda (  specie quella della R.S.I.) è, come dice bene Rebecchi, il superamento delle formule e dei riti ( e soprattutto degli ERRORI) mantenendo viva quella tensione alla equità ed alla giustizia sociali che sono alla base della considerazione dell'Umanità come un insieme di persone e di anime e non come un "soggetto economico".

Insomma l'eterno dilemma tra spirito e materia che ci porta a privilegiare i valori del primo rispetto alla seconda e che quindi ci porta le mille miglia lontano dalla concezione di "sinistra" della politica e della vita!

Tutti diciamo di avere come maestro Benito Mussolini.

Ed allora riflettete su di un FATTO: avrebbe potuto chiamare il suo Stato Repubblica Socialista Italiana ed invece la chiamò Repubblica Sociale Italiana..

Vi sembra un caso?

Vi sembra che in quello che fu il suo testamento politico e spirituale il Duce potesse fare tali scelte con leggerezza e senza ponderazione?

Anche per tutto ciò la socialità ci appartiene, il socialismo NO..!!

Alessandro Mezzano


----- Original Message -----



Sent: Friday, December 08, 2006 2:25 PM

Subject: Fw: Ai Camerati di Socialismo Nazionale



 

----- Original Message -----


Sent: Friday, December 08, 2006 3:51 PM

Subject: Re: Ai Camerati di Socialismo Nazionale



 


Quasi in simultanea ho ricevuto il nuovo numero di "Progetto Sociale" e la lettera con cui Maurizio Canosci risponde alla "lettera aperta ai camerati di Socialismo Nazionale" di Adriano Rebecchi.

Rischiamo la schizofrenia: "Progetto Sociale" ospita un articolo di Rebecchi (MNP), una nota di Stelvio Dal Piaz (SN) e - tra l'altro - un servizio su una manifestazione tenuta dai militanti antagonisti tedeschi contro la Merkel dove spicca uno striscione che recira letteralmente "Nur das Kapital ist international! Wahrer Sozialismus ist national!"

Parole che rappresentano la sintesi.

 

  E invece s'innesca tra Rebecchi e Canosci una sorta di diatriba nominalistica che in nessun caso può costituire un elemento di chiarezza per quanti si battono - o dichiarano di battersi - sulla stessa trincea. Cosa c'entra la difesa di una sinistra che storicamente e concettualmente è estranea ai nostri percorsi? Così come lo è la destra nelle sue diverse significazioni, sino all'equivoco ultimo della destra radicale ( quella per intenderci dei giullari). I termini dello scontro sono dinanzi a noi netti, nitidi, inconfutabili. E non si può nello stesso scritto - caro Adriano - sostenere che il "Socialismo" è e rimane una dottrina di sinistra e che però il Fascismo aveva assimilato i valori e gli ideali del "Socialismo". Wahrer Sozialismus ist national! Oltre la destra e la sinistra per noi non è uno slogan. Senza ricorrere alle esperienze del Fascismo storicamente inteso restiamo al nostro tempo ed alle esperienze che lo hanno caratterizzato dal dopo guerra ad oggi. Ordine Nuovo, Lotta di Popolo, Lotta Popolare, Costruiamo l'Azione e - in una certa misura - Terza Posizione. E non ci ricorda nulla  "La disintegrazione del sistema"?.

Coordinate nelle quali di certo non è collocabile il MSI... Ma questo è un altro discorso.

Durante le Feriae Augusti mi permisi di far circolare un documento (Anno Zero: Punti fermi) nel quale indicavo le vie da percorrere e le mete da raggiungere. Sicuramente ad avviso mio e dei militanti romani di Socialismo Nazionale. Fornivo indicazioni circa quella da me definita "strategia capovolta". Laboratorio-progetto-movimento. E dichiaravo che noi - insieme, serrando i ranghi - "abbiamo il compito di farci 'lievito' per ricreare un senso nuovo della politica, superando la raffigurazione di parte in direzione di un obbiettivo comunicabile, chiaro, comprensibile: la costruzione del Movimento di Liberazione Nazionale".

 Non ritengo di dover aggiungere altro se non un invito ad evitare - con l'insistenza di inutili polemiche - andamenti schizofrenici.

In alto i cuori!

Paolo Signorelli

 

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From: Maurizio


Sent: Friday, December 08, 2006 10:32 AM

Subject: Re: Ai Camerati di Socialismo Nazionale



 

Riceviamo questo cortese appello ed andiamo doverosamente a rispondere fermo restando che é d'obbligo ricordare all'interlocutore e a chi ci legge che - al momento - le realtà di Socialismo Nazionale sono tra di loro collegate ma non dipendenti in un unico organismo come sembra essere il Movimento Nazional Popolare e dunque ognuna della Comunità é libera di meglio interagire sul territorio con ampia discrezione in termini di azione politica (politica e non elettorale, si noti bene); non é un caso che si é aperto un "laboratorio" in cui tra le diverse voci ci sono anche quelle di autorevoli esponenti "socialisti nazionali". Per quanto ci riguarda non poniamo limiti nemmeno noi a collaborare con chiunque intenda porre in essere una reale alternativa al sistema plutocratico - termine che secondo il nostro punto di vista già discrimina ogni vicinanza con "questo" centro sinistra e "questo" centro destra presenti oggi in Italia - ma dissentiamo fortemente sul significato negativo che si vuol dare al termine sinistra senza appello. Lo stesso vale per il termine Socialista; noi siamo qui per rivendicare che la sinistra, il Socialismo non sono affatto termini superati o negativi ma essi vanno ricollocati nella loro giusta dimensione mistica e rivoluzionaria, propria del Fascismo nel suo insieme che rivendichiamo interamente (dall'interventismo sino alla fine del secondo conflitto mondiale) assumendone la validità generale senza distinzioni tra "cose buone" e "cose cattive". Siamo altresì convinti che per costruire una reale forza alternativa capace di porre al centro dello scontro politico la necessità di una liberazione nazionale rispetto all'occupazione atlanto-sionista non si possono porre paletti "geografici" di concezione parlamentaristica  ma occorre uno sforzo di tutti i compagni di lotta e di tutti i camerati di trincea per ritrovarsi uniti in un progetto politico che ritorni a coniugare l'individuo con la comunità e identifichi la comunità con la Nazione ed il suo principio di Stato Etico. Nomi, sigle e quant'altro non sono oggi importanti ordini del giorno; più importante é comprendere chi accetta di lottare senza pre-giudizi superando schemi obsoleti per contrastare il disegno egemonico dell'usura apolide e riprenderci la libertà di italiani, di europei.

Saluti socialisti nazionali - Maurizio Canosci



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Sent: Thursday, December 07, 2006 10:07 PM

Subject: Ai Camerati di Socialismo Nazionale



Lettera aperta ai Camerati di Socialismo Nazionale

 

Fin dall'inizio abbiamo seguito con interesse gli interventi e le prese di posizione dei Camerati di Socialismo Nazionale, Camerati che ben conosciamo per avere lottato assieme contro gli affossatori dell'esperienza del M.S.-F.T. : il vecchio Rauti prima e il giovane Romagnoli dopo.

Abbiamo apprezzato anche le loro chiare e nette prese di posizione, simili alle nostre, per "l'astensione" nelle ultime elezioni politiche, per il "No" nel referendum costituzionale e, recentemente, per la dura condanna di quegli ex-camerati della destra estrema o radicale che erano sotto il palco di Piazza S.Giovanni a Roma ad applaudire Berlusconi e Fini, in un tripudio di bandiere tra le quali spiccavano quelle della fiamma tricolore e quelle con la stella di Davide degli aspiranti padroni del mondo.

Abbiamo però la sensazione che la strada "socialista" intrapresa dai Camerati di Socialismo Nazionale sia una strada senza uscita.

Il Socialismo, comunque lo si intenda e lo si qualifichi, è e rimane una realtà di sinistra.

Certo, la politica italiana negli '90 ha, tra gli altri effetti perversi, partorito anche una sorta di socialismo destrorso, meglio, berlusconiano, in parte come ripicca per la mancata difesa di Craxi da parte della sinistra e in parte quale riciclaggio di affaristi e faccendieri in fuga da Tangentopoli.

Ma, a parte queste ultime patetiche figure di socialisti-berlusconiani, il Socialismo è e rimane una dottrina di sinistra e si colloca a sinistra, in Italia, in Europa e nel mondo.

Allora, dove intendono collocarsi i Camerati di Socialismo Nazionale?

A sinistra? Non crediamo!

Le nostre comuni radici affondano in quell'Idea che è stata ed è il superamento del Socialismo, della sua inadeguatezza, dei suoi errori e, visto che le idee camminano con le gambe degli uomini, degli stessi socialisti e, quelli contro i quali lanciava le sue dure invettive Mussolini, erano socialisti di ben altro stampo e spessore rispetto ai trasformisti alla "Fregoli" di oggi.

Siamo d'accordo anche noi che non vogliamo e non dobbiamo ricostituire il vecchio MSI e che non vogliamo e non dobbiamo rifare un partito di destra, più o meno estrema, borghese, reazionario, liberista, filo-Usa, filo-Israeliano e succube delle forze liberal-mondialiste.

Siamo d'accordo anche che la nostra volontà di andare oltre la destra e la sinistra non deve restare un semplice slogan, ma una precisa scelta morale, politica, sociale, che comprenda anche i valori e gli ideali del "Socialismo" così come il Fascismo li aveva assimilati e, nel periodo della Rsi, attualizzati.

Ma, stabilito che abbiamo salde radici, adesso dobbiamo guardare avanti, dobbiamo andare avanti e non tornare o fermarsi al Socialismo.

Quando Fini dice che in Italia non c'è spazio per un terzo o quarto polo dà solo voce alle sue paure, paure che il bipolarismo vada in crisi e che la greppia finisca.

In realtà si stanno creando spazi politici per un terzo, un quarto o quinto polo o, per quanto ci riguarda, per la costruzione di un forte Movimento nazionale e popolare come quelli che si sono affermati in Germania, Francia, Belgio, Olanda, Austria.

Lanciamo quindi un appello ai Camerati di Socialismo Nazionale:

costruiamo assieme questo nuovo Movimento, che dovrà essere un movimento di liberazione dalle due coalizioni che si spartiscono il potere in Italia, di liberazione dalle gabbie dei poteri forti, di liberazione dalle lobby mondialiste e finanziarie che vogliono rinchiuderci in un unico villaggio globale di consumatori senza identità, tradizioni, dignità, libertà.

Chi se non noi!

   

Adriano Rebecchi

Segretario Provinciale del MNP del Verbano-Cusio-Ossola

Editore e Direttore de "La Vedetta"





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