mercoledì 26 luglio 2006

Israele è un progetto,e ha bisogno di nemici

 
Il Volto di Qana (VII)

di Miguel Martinez [22/07/2006]
Fonte: kelebek [scheda fonte]

 



 Beirut in questi giorni

Quando abitavo a Roma, tanti anni fa, c'era un tale che era solito arrampicarsi sugli angoli più inaccessibili del Colosseo, con un grande cartello al collo.


Credo fosse un ambulante, che protestava per una faccenda di licenze.


Comunque, arrivava la polizia e con qualche manovra di alpinismo archeologico, lo tirava giù. E dopo qualche giorno, lo ritrovavano allo stesso posto.


Mettiamo, invece, che il ministero degli interni avesse deciso, di concerto con il governo, di stanarlo radendo al suolo il Colosseo, con dentro qualche centinaio di turisti.


E' più o meno quello che sta facendo in questi giorni Israele.


Questo porta, qualche volta, a critiche ingenue o ipocrita contro una presunta "risposta sproporzionata", che sarebbe quindi (lievemente) immorale.


In politica si fa carriera grazie all'assenza di ogni forma di scrupolo, e quindi chiedere a uomini politici di comportarsi eticamente, sarebbe come chiedere la monogamia a una prostituta. La morale casomai diventa uno strumento di immagine e di manipolazione, ma quello è un altro discorso.


Inoltre, il concetto di "risposta sproporzionata" presume una logica da asilo nido, dove Pippo ha rubato il giocattolo a Nando, e Nando per dispetto lo ha picchiato.


La politica, invece, seleziona le persone per la loro capacità di prevedere i risultati delle proprie azioni, di non fare passi falsi, e di affidarsi all'astuzia più che all'emozione.


Questo significa che se il governo decide che per stanare un ambulante, è il caso di radere al suolo il Colosseo con dentro i suoi visitatori, sa quello che fa. E siccome il Colosseo è molto più importante dell'ambulante, quasi certamente l'ambulante è solo un pretesto per arrivare alla distruzione del Colosseo.


Non abbiamo mai sottovalutato l'intelligenza e la lungimiranza dei governanti d'Israele, che contano su molti saggi uomini politici in grado di evitare colpi di testa individuali, innumerevoli esperti in tutto il mondo, un'immensa rete di intelligence, e devono rendere conto di tutto ciò che fanno alle grandi organizzazioni sioniste di New York, a loro volte gestite da alcuni dei migliori uomini d'affari, militari e tecnici del paese che domina il pianeta.


Prima di tutto, l'attacco al Libano ha rimesso in moto il ciclo vizioso su cui si regge Israele: ha generato un immenso ma impotente risentimento tra tutti gli arabi del mondo. E questo risentimento rimette Israele psicologicamente "sotto assedio" (il famoso slogan del "diritto di esistere"), permette di tirare in ballo le solite cose sull'"antisemitismo", e garantisce quindi l'acquiescenza sia degli "occidentali" che di tanti sostenitori ebrei in tutto il mondo.


Israele, ricordiamo, non è un paese, come l'Italia, ma è un progetto, il sionismo, a cui si aderisce volontariamente. Ma senza tensione, uno Stato che si basa sulla pura volontà delle persone, rischia di diventare uno stato normale. E se diventasse normale, i suoi stessi abitanti finirebbero per emigrare altrove, mentre non riceverebbe più appoggi esterni. Ecco perché occorrono, ciclicamente, provocazioni forti, come quella compiuta del tutto gratuitamente da Sharon nel 2000, con la passeggiata sulla spianata delle moschee a Gerusalemme, che scatenò la seconda Intifada.


Questo è l'aspetto interno. Ma c'è anche un aspetto esterno fondamentale.


Israele ha colto l'occasione del sequestro di due suoi soldati per distruggere tutto il sistema di infrastrutture del Libano, annientando le basi stesse dell'economia, in maniera molto più sistematico di quanto abbia fatto nel 1982.


Allo stesso tempo, mentre a parole chiede l'intervento dell'esercito libanese, Israele ha distrutto anche tutte le strutture, certo fragili, di quell'esercito.


E ha trasformato un quarto circa della popolazione libanese in profughi senza assolutamente nulla. Persone scappate, non per una generica paura, ma per un esplicito invito, tramite lancio di volantini e sms (il genocidio entra nel terzo millennio) ad abbandonare immediatamente le proprie case. I profughi sono per la maggior parte sciiti, e si riversano nelle zone sunnite, risvegliando vecchi risentimenti.


Salvo imprevisti, il risultato dovrebbe essere la fine dell'unità e della ricostruzione libanese, e la ripresa di lotte tribali e di clan, come avviene sempre quando un'economia collassa e si muovono contemporaneamente grandi masse di persone.


E' chiaro che il problema è geopolitico. A Beirut ci può essere un governo di destra o di sinistra, filosiriano o filoisraeliano, poco importa. Comunque il Libano è un forte centro economico e intellettuale per tutta l'area, e anche un punto di fusione tra mondo islamico e cristiano. E perciò deve sparire.


Tutto questo ci ricorda quanto è successo all'Iraq. L'Iraq, qualunque governo avesse, era l'unico paese in tutto il mondo arabo che avesse, insieme, petrolio, acqua e popolazione. E quindi aveva cibo, un alto numero di laureati e la possibilità di avere una forte economia.


Oggi l'Iraq ha cessato di esistere, con un'economia annientata e divisa in pratica in tre paesi, con sunniti e sciiti che si neutralizzano a vicenda in orrendi massacri. E' una situazione che non aiuta certamente la reputazione di George Bush, ma a lungo termine è un risultato molto più utile per gli interessi "occidentali" di un Iraq temporaneamente filo-americano, ma sempre forte.


Lo stesso si può dire della Palestina: basti pensare come a Gaza in questi giorni abbiano preso di mira l'energia, l'acqua, l'agricoltura e le comunicazioni, ma anche come abili architetti e geometri abbiano ideato percorsi per il Muro che rendono impossibile ogni forma di vita economica in Cisgiordania.


Rimangono due stati forti nell'area: la Siria e l'Iran: l'Arabia Saudita, avendo solo petrolio, non può esistere fuori dai circuiti finanziari occidentali e quindi non pone problemi, come ne pone pochi l'Egitto con la sua drammatica sovrapopolazione.


Possiamo pensare bene o male dei governanti della Siria e dell'Iran, ma quello che è importante è che quando crolleranno quei governi, crollerà anche l'unità nazionale. In Siria, ci sarà una spaventosa frammentazione su basi religiose, in Iran su basi etniche.


Ogni giorno, ci dicono che proprio questi due paesi, guarda caso, saranno prossimamente il bersaglio di qualcosa. Potrà essere un attacco esterno o qualche forma di sovversione interna, ma non servirà tanto a portare al potere un governo "occidentalista". Servirà a sciogliere quei paesi nell'acido.  






Vertice di Roma: ci trascinano in guerra

Maurizio Blondet

23/07/2006


«Ora l’Italia conta davvero»


«La svolta di D'Alema, ora l'Italia conta davvero», esulta Repubblica del 22 luglio:
«L'Italia ricuce definitivamente lo strappo, rendendo manifesta la ritrovata partnership con gli USA. Rilancia la sua spinta propulsiva all'interno di un'apatica UE. Rafforza il suo ruolo di cerniera nel Mediterraneo», e via trionfando.
Attenti lettori pacifisti di sinistra a questa prosa, pari solo a quella usata da Emilio Fede per estollere i successi di Berlusconi.
Attenti, perché il trucco è diretto a voi: per calmarvi, per mostrarvi che Massimo fa qualcosa di sinistra, che cerca la pace, sfida gli Stati Uniti… ma ve lo dice Repubblica, che non è così: il vertice di Roma segna «la ritrovata partnership con gli USA».
Il vertice di Roma è stato deciso in America. (1)
Per dare agli europoidi quello che gli europoidi vogliono, un bel dibattito, una bella «mediazione» di chiacchiere, un corridoio umanitario magari...
Mentre si dà ad Israele quella settimana in più di cui ha detto di aver bisogno per finire il lavoro in Libano.
Era stato già deciso.
Dove?
A San Pietroburgo.
Lo ha rivelato un microfono aperto casualmente, che ha colto il colloquio fra Bush e Blair.
Bush parlava come un gangster ubriaco; Blair lo imitava nell'eloquio, piegato servilmente in due per cogliere i biascicamenti del capo supremo.


Varrebbe la pena, avessimo tempo, di tradurre l'intero colloquio, per vedere il grado di ignoranza e bassezza del comandante in capo mondiale.
Basti riportarne i punti essenziali. (2)
Bush
: «Che dici di Kofi? Pare strano. Non mi piace la sequenza: il suo atteggiamento è alla fin fine: cessate il fuoco e poi qualunque cosa succede. Capisci quel che dico?»
Blair: «Yeah. No, penso… la cosa molto difficile è che non possiamo bloccare questo a meno che tu ottenga l'approvazione di questa presenza internazionale. So che voi ne avete parlato ma è la stessa cosa».
Poi, frasi inaudibili. E' solo chiaro che parlano di Condoleezza Rice.
Blair: «…vedi quanto la cosa è affidabile. Ma tu bisogna che lo faccia presto».
Bush: «Yeah, lei [Condi] sta per andare. Condi va molto presto».
Blair: «Ottimo, vedi, questo, questo, questo è tutto quel che conta. Se tu…capisci, ci vorrà qualche tempo per finirla. Ma almeno dà alla gente un…»
Bush: «Un processo [un «processo di pace» da acquietare gli europei, come il precedente, ndr.] sono d'accordo. Le ho detto anche della tua offerta».
Blair: «Beh, questo solo se… voglio dire, se lei ha… se le occorre che le si prepari il terreno. Ovviamente se lei esce allo scoperto bisogna che abbia successo, mentre io vado allo scoperto solo per parlare».
Bush: «Capisci, l'ironia è che quello di cui loro hanno bisogno è di ottenere dalla Siria che ottenga da Hezbollah di smettere di fare questa merda, e finisce lì».
Blair: «Chi, la Siria?».
Bush: «Esatto».
Blair: «Secondo me è tutto parte della stessa cosa, lui pensa che se il Libano esce bene [sic], se troviamo una soluzione in Israele e Palestina, l'Iraq va nella direzione giusta, e lui [inaudibile]. Questa è tutta la faccenda. E' lo stesso con l'Iran».
Bush: «Quasi quasi dico a Kofi di telefonare ad Assad e far succedere qualcosa. Noi non accusiamo Israele. Non accusiamo il governo libanese…».

 
  Bush e Blair durante il colloquio segreto al G8


Non tutto è chiaro; ma una cosa sì: è già deciso che Condi Rice «vada molto presto».
Prima in Medio Oriente e poi a Roma.
In questo vertice, prevedo, appariranno molti difensori del diritto di Israele di devastare i vicini. «Angela», dice Bush, la Merkel, ci riserverà delle sorprese.
In compenso, ci sarà un bel «dibattito», come nei cineforum di sinistra.
«Kofi» otterrà qualcosa: probabilmente, sanzioni ancor più dure per l'Iran.
Quel che dirà la Rice è già noto: chiederà una «robusta» forza d'interposizione internazionale nel territorio del Libano meridionale per la sicurezza di Israele.
Anzi, sarà lo stesso premier libanese Seniora a chiederlo, a implorarlo.
Che può fare?
Il suo Paese è distrutto dalle fondamenta: da Israele.
Lui è sconfitto, e deve accusare non i devastatori, ma Hezbollah, Siria, Iran.
Così sarà riconosciuto come «democratico».
E noi abboccheremo, è un «impegno per la pace» a cui D'Alema si è già detto pronto, come per l'Afghanistan.
E come già fu prontissimo per il Kossovo.
Ciò vuol dire che i nostri soldati, insieme a britannici, francesi e tedeschi, si troveranno lì nel centro del tritacarne.
Qui non è come a Nassiria.
Non si è in contatto con bande e cani sciolti.


Qui, si è a contatto con il secondo o terzo esercito del mondo, per di più sperimentatissimo in operazioni «false flag».
Se saremo ammazzati da «Hezbollah» del Mossad, non potremo nemmeno denunciarlo.
Qui, il nostro nemico sarà il nostro «alleato», indicato come tale dal vertice di Roma: la missione consiste nel liquidare gli Hezbollah.
Dovremo versare tutto il sangue necessario, come vittime, per trascinarci  là dove finora, nonostante l'Iraq, non sono riusciti: nella terza guerra mondiale.
Naturalmente, per questa nuova «missione», è assicurato anche il voto di Berlusconi.
Verso la terza guerra mondiale con ampio voto bipartisan.
La terza guerra mondiale non è un'esagerazione mia.
È Newt Gingrich, già speaker della camera bassa americana, leader della «nuova destra
filo-giudaica», a dire da settimane in tutte le sedi che questo è l'inizio della «terza guerra mondiale».
Il 16 luglio, alla NBC, dice che «bisogna aiutare il governo libanese ad avere la potenza per eliminare Hezbollah come forza militare» (questo dovranno fare i nostri soldati europei).
Un giorno prima, durante una campagna per raccolta di fondi ai repubblicani, Gingrich dice: «Questa è la terza guerra mondiale. Israele non lascerà il Libano meridionale finchè c'è un singolo missile lì. Io andrei e farei pulizia di tutti, annuncerei che ogni aereo iraniano che tenti di portare missili per rifornirli [gli Hezbollah] sarà abbattuto. Quest'idea che è una guerra unilaterale è una cazzata».


Naturalmente tutti i giornalisti noachici si sono precipitati a ripetere il concetto:
«E' la terza guerra mondiale», ha detto Bill O'Reilly della Fox News.
«Dobbiamo combattere la terza guerra mondiale», gioisce Glenn Baer della CNBC, «l'apocalisse è imminente».
Quanto agli italiani, basta rileggere Magdi Allam, Massimo Introvigne, Galli della Loggia,
Vittorio Parsi su Avvenire (Israele ha diritto a difendersi): notevole al proposito anche Sandro Magister: questo vaticanista, che dicono assai vicino a Ruini, lancia una circostanziata accusa di «antisemitismo» contro papa Ratzinger, come ha già fatto del resto Socci.
I cristianisti sono disposti a obbedire al Papa finchè è filo-giudeo, non oltre.
E anche questo è un attacco preventivo, la preparazione del terreno (come dice Blair) attraverso l'intimidazione.
Ed è solo l'inizio.
Quella che adombra Magister, benissimo informato, è una rivolta dei giudaizzanti clericali contro Benedetto, se il Papa non tace, se non riconosce il diritto di Israele a difendersi devastando gli altri popoli.
Ma la cosa non finirà con lo stupro in Libano, anche questo l'ha detto chiaro Gingrich.
In un articolo a sua firma sul Guardian del 21 luglio: ecco il progetto, che ripeteranno in coro i Magdi Allam & C.: «Il mondo civile si trova al bivio tra vittoria e disfatta», esordisce Gingrich.
Dice lo stesso Massimo Introvigne: è Roma contro Cartagine.


«La lunga strada verso la vittoria comincia col mondo libero che aiuta la democrazia (3) libanese a battere gli Hezbollah, espellendo le guardie rivoluzionarie iraniane e tutti i diecimila missili e più [sic] puntati contro Israele.
Il cessate il fuoco invocato dallo sconsiderato appello del G-8 farebbe l'opposto. Consentirebbe ai terroristi di riorganizzarsi…La natura della minaccia ha l'Iran come epicentro [ecco il bersaglio grosso] ed è al fondo ideologica. Questa ala ideologica dell'Islam è incompatibile con la civiltà moderna. E benchè non connessi operativamente, gli eventi delle ultime sette settimane vedono gli sforzi congiunti per debellare l'Occidente e i suoi valori. Questa è la terza guerra mondiale, non può avere altro nome».
Sforzi congiunti?
Gingrich li spiega:
«Un'alleanza terroristica di Iran, Siria, Hamas-Hezbollah ha scatenato la guerra a Israele; sette bombe a Bombay hanno ucciso oltre 200 persone [ora sappiamo chi le ha messe]; la Corea del Nord ha lanciato sette missili, compreso uno intercontinentale capace di colpire la costa degli USA; sette americani hanno dichiarato fedeltà ad Al Qaeda in un video [devono essere i sette negretti della società «Mare di David»]; un complotto per mettere bombe nei tunnel e nel metrò di New York [il complotto annunciato dal sindaco ebreo Bloomberg, e smentito dall'FBI]; 18 canadesi arrestati con più esplosivo di quello usato nell'attentato di Oklahima City. Aggiungete tutte le città dove precedenti attentati hanno avuto luogo, e vedete che non si può più negare l'esistenza di una campagna mondiale di terrore».

  
    Newt Gingrich


Gingrich cita senza vergogna atti di terrorismo puramente mediatici, o false flag, già smentiti o rivelatisi gonfiati, e collega fatti senza rapporto tra loro in una teoria del complotto assoluta. Dunque i complotti esistono, dopotutto: Corea del Nord, Hamas e Iran sono tutti in combutta.
Ciò ci consente di dargli ragione: è in corso una campagna globale di terrore, strategia della tensione - e voi lettori sapete chi la guida.
Attenzione alle «città dove sono avvenuti precedenti attentati», Madrid, Londra: c'è la stessa  mano, ce lo dice Gingrich.
Ed è una minaccia coperta.
Ora, attenti a Roma, il Papa ha bisogno di una lezione.
Ma continuiamo a citare la chiamata alle armi:
«Nel conflitto in corso, il mondo libero deve levarsi pronto a sostenere il governo democratico del Libano a imporre la sua autorità sui suoi confini meridionali. Questo proverà la volontà del mondo civile di tramutare questo malvagio attacco a una democrazia [l'attacco alla democrazia libanese non lo sta facendo Israele? No, questo no], nell'opportunità di una vittoria storica dei terroristi e dei loro sponsor di Stato. In questa guerra di civiltà, nervi saldi e concentrazione sul fine ci consentiranno di strappare la vittoria decisiva».


Sentito il linguaggio?
Qui parla il Quarto Reich.
Ed indica le due fasi: primo, mandare i soldatini europei a farsi massacrare dagli israeliani (pardon, «Hezbollah») sui confini del Libano; secondo, attaccare l'Iran e la Siria, Stati-sponsor del terrorismo globale.
Occorreranno armi atomiche, inevitabile.
Solo così Israele sarà sicuro.
Questo è il progetto.
Questo uscirà da vertice di Roma.
È già scritto tutto.
Benvenuti nella terza guerra mondiale.

Maurizio Blondet


Note

1) «This is why secretary Rice has called for an international conference in Rome with some of the key players in the region and the international community in order to discuss and hopefully reach an agreement on what such political underpinnings of a cease-fire might be», dice la AP del 22 luglio. E' stata la Rice a volere il vertice di Roma. Non pare che sia D'Alema, né che «l'Italia conti davvero».
2) Sul sito «Globalresearch» del professor Chossudovsky troverete il «complete transcript of Bush-Blair exchange at G-8 summit», 20 luglio 2006.La sua lettura è in qualche modo esilarante, ancorchè spaventosa. Bush chiede al premier cinese quanto ci mette il suo volo «per tornare a casa» e si stupisce della risposta: otto ore. «Quanto ci metto io. Eppure questo è il tuo vicinato», dice Bush. Ignora che San Pietroburgo è in Europa, affacciata sul Baltico, e Pechino all'altra estremità dell'Asia. Grande competenza geopolitica.
3) Veramente, gli americo-israeliani hanno tentato di creare in Libano una «democrazia» secondo i loro progetti: la «rivoluzione dei cedri», pagata dalla CIA come le rivoluzioni colorate di Georgia e Ucraina, e con lo stesso scopo: arruolare tutte le «neo-democrazie» nella terza guerra mondiale per Sion. Non ci sono riusciti. Da quel momento, il destino del Libano è stato segnato. Vedi al proposito  Matthew Kalman, «Israel set war plan more than a year ago», San Francisco Gate, 21 luglio 2006.


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